13 Feb 1790. Riflessioni Economico-Politiche sul diseccamento del Lago Trasimeno oggi detto Lago di Perugia
Benedetto Bernardi
Riflessioni Economico-Politiche sul diseccamento del Lago Trasimeno oggi detto Lago di Perugia.
Dalle riflessioni idrostatiche, e fisico-mediche, che a giudizio d’ognuno deono precedere la grande impresa del prosciugamento del Lago Trasimeno di Perugia, non hanno da gir disgiunte l’economiche-politiche, per la considerazion del profitto, o pregiudizio, che derivare ne possa al Principato, e ai suoi sudditi. A queste ultime rivolgendo il pensiere, dacché non mancherà chi con saggio discernimento esporrà le prime, sembrerà strano, che da bel principio da me si voglia disapprovare un tal prosciugamento sul riflesso della perdita, che si farebbe dell’utile che si riceve dalla pesca di detto Lago, senza prima acquisto dei terreni diseccati, a ottima coltivazione ridotti. Ma perquanto condannabile potesse essere questa prima riflessione, non sarà mai tanto, quanto quella dei Fautori di una simile impresa, per cui tanto è certo il termine di un profitto proveniente dalla Pesca, che si distruggerebbe, quanto è incerto il vantaggio della rendita del terreno da diseccarsi.
A comprendere, che sia massimo, e certo l’utile, che mancherebbe dal prosciugamento del Lago, e dalla distruzione della pesca, basta dare alla sfuggita un’occhiata, non dico a quello che ne ritrae la R.C.A. dell’annuo Canone dell’Affitto, all’utile che ricava l’Affittuario, alle corrisposte annue, ai particolari delle pesche affittate ai Pescatori (che pure sormontando a molte migliaja meritano la loro considerazione); basta, dissi, dare uno sguardo all’Isole, Villaggi, Terre, Castelli popolatissimi posti alle rive del Trasimeno, abitati da numerose Famiglie di soli Pescatori, le quali tutte e si mantengono, e aumentano ancora i loro Capitali col solo mestiere della pesca: aggiungasi in oltre tanti Ministri, che l’Azienda di detto Lago richiede, i quali col loro annuo assegnamento mantengono le proprie case; il lucro, che vi fanno tanti Vetturali; il guadagno dei Pescivendoli; in somma l’immenso Popolo, che dalla pesca del Lago Trasimeno, di pesce abbondantissimo, riceve il proprio sostentamento.
Che l’utile, il quale si ritrae dal Lago sia tanto grande, che per lo meno ragguagliare si possa all’annua rendita di quaranta mila scudi, primieramente si può con chiarezza dedurre dai libri de’ Ministri del medesimo, dai quali risulta, che l’introito annuo del solo dazio della gabella del pesce d’ordinario ascende alla somma di otto in nove mila scudi: e certamente quando questo provento tanto non rendesse, l’Affittuario per l’esorbitanti spese, che ha dei Ministri, di Guardie, del Mantenimento di barche, reti ed altri stili neccessarj alla pesca, unite ai tanti altri obblighi, ed all’annuo Canone, che corrisponde alla R.C.A. certamente, dico, andrebbe incontro ad uno scapito certo, e sicuro. Posto adunque un introito di sola gabella di otto mila scudi, non dirò molto, se un doppio valore solamente darò al pesce venduto del quale il compratore ne pagò il suddetto dazio; ed eccoci saliti alla somma di ventiquattro mila scudi: Abbiasi in oltre in considerazione la vendita di tanti carichi di pesce, che senza gabella si fa dall’Affituario, il quale nelle più abbondanti pesche, come sarebbe quella detta della nave, e l’altra chiamata della bozza entra in parte col Pescatore, e che con mantenere alcune piazze, ne fa a conto suo lo smercio: il consumo, che si fa del medesimo per proprio sostentamento da tanti Pescatori, e tanto Popolo, che abita l’Isole, ed i Castelli parimente esente dalla gabella. Finalmente il denaro, che si ricava dalla vendita delle pagliole, delle cannuccie, delle scarse, e di altri prodotti del Lago, parte dei quali sono a vantaggio dell’Affittuario, e parte a profitto dei Pescatori, e che unito insieme fa la considerabile somma di più di migliaja; e conoscerà ognuno ad evidenza, che non solo si può ragguagliare, ma che anzi con fondamento oltrepassa la rendita della somma surriferita.
Se diseccato il Lago, tutti i descritti vantaggi, che da esso provengono, vanno del tutto a finire, dissi dunque il vero, allorché senza esitare accertai il termine di un utile grande, di un sommo bene al Principato, ed a suoi sudditi al termine della pesca.
Che se la società dei Caratanti alla grand’opera pel prosciugamento del Lago cedesse, che tutti i vantaggi, che presentemente derivano dalla pesca, venir potessero di gran lunga compensati dai prodotti del terreno prosciugato, e ridotto a ottima cultura: mi sia lecito allora il ripetere ad essi, che presentemente dalla pesca dal lago ne viene; altrettanto è incerto quanto profitto ne potesse derivare dal medesimo diseccato. E vaglia il vero, quanto farà il terreno, che a buona coltura potrà ridursi? Dell’ottima qualità quanto se ne potrà guadagnare? L’estensione del medesimo non si può certamente calcolare dalla estensione dell’acqua, che presentemente l’inonda; mentre che ocularmente vediamo per ogni parte l’acqua non solo alle sue rive batter lo scoglio, ma altresì nel suo mezzo ove nascono dell’Isole alle falde di esse battere il sasso; questi scogli, questi sassi, benché non sappiamo quanto, possiamo per altro assicurare, che non poco si estendono nel seno del Lago, avendo per esperienza veduto, che nel ritirarsi dell’acque negli anni di gran siccità, in dette situazioni non rese mai terreno da coltivarsi, ma scogli e sassi.
E se incerta è la quantità e l’estensione del terreno da ridursi a coltura, che dal prosciugamento delle acque si può acquistare, non meno incerta è la qualità del medesimo. Niuno a vero dire di poco accorto potrà tacciarmi, se all’osservazione fatta in più luoghi del terreno, che presentemente si vede alle rive del Trasimeno, francamente dicessi, che gran parte di quello, che si acquisterebbe, saria di pessima qualità, e non di frutto. A restar convinto di quanto asserisco, basta osservare (senza individuare altre situazioni) il terreno, che bagna il Lago per l’estension di più, e più miglia a Ponente dal Ponte di Paganico sino al fosso della Venella; a Ostro dall’Osteria di Braccio fino al Ponte della Pescia, per accertarsi di qual pessima qualità egli sia, anche per lungo tratto fuori dell’acqua, cioè arenoso, sterile, infruttifero, sfogliato di ogni sorta di arbori, perché incapace al nutrimento de’ medesimi; terre insomma comunemente chiamate Segaline, che il più delle volte, se coltivate, non rendono al povero Agricoltore la quantità del sem, che con tutta l’arte, e con tanto sudore gettovvi. Sì fatta qualità di terreno in dette situazioni non può dubitarsi, che si troverebbe nel diseccamento per lunga estenzione, poiché quivi ancora per osservazion fatta nel ritirarsi del Lago per lunghe siccità il terreno prosciugato della stessa pessima natura comparve. E tanto basta, perché neppure si possa sperare, che il terreno ora ricoperto dall’acqua abbia potuto migliorare condizione per le cannucce, scarze, giunchi, ed altri vegetabili, che nascer sogliono alle rive dell’acque, e che vanno poi a immarcire, e ogni anno a riprodursi di nuovo; perché la totale mancanza altresì di simili prodotti in dette situazioni ne comprova la pessima qualità, e la sterilità innegabile. Che se a tutto questo si unifica l’esperienza fatta da più Notatori i quali dal maggior cupo delle acque hanno sempre portata fuori della sabbia, terra di sua natura infruttuosissima; Chi potrà negare che una gran parte del terreno, che si acquisterebbe nel prosciugamento del Lago, saria cattivo, sterile, ed infecondo?
Che se alcuno dicesse, che qualunque si sia cattivo terreno con la coltivazione, e coll’arte può ridursi a buona, se non ottima terra; a questi replicar si potrìa: E perché adunque non applicarsi con tutto l’animo per ridurre a sì buon essere tanta terra, che, come dissi, si trova fuori d’acqua, e che ha una ragguardevole estensione, e che di presente sterile affatto si scorge? I Proprietarj di questo terreno a piccola vantaggiosa condizione certamente lo cederebbero, purché in qualche modo migliorandolo, si rendesse in parte fecondo: Ma già ognuno si avvede, che se io azzardo sì francamente a nome di quei Possidenti a far a chiunque una sì cortese esibizione, lo faccio, perché son certo, che per due riflessi niuno l’accetterebbe; cioè o perché ogni arte, e ogni industria del più diligente Agricoltore riuscirebbe vana, ed inutile al miglioramento di sì arenosa terra di sua natura cotanto sterile ed infeconda.
Quantunque dal fin qui detto, e dell’aspetto del suolo bagnato dalle rive del Lago chiaramente si comprenda, che del terreno, che si acquisteria dall’esito copioso dell’acque, una gran parte sarebbe sassosa, altra non minore, arenosa, e sterile; nulladimeno per l’incertezza, che pende dall’una, e dall’altra parte, a incoraggire le speranze di una società, che mossa da un fervido zelo, più che il proprio interesse cerca il profitto dello stato, e lo stabilimento di tante Famiglie, che impiegar si possono nella coltivazione, le si potrebbe accordare l’acquisto di tanto nuovo terreno, quanto in loro mente si sono prefisso (benché a mio credere non mai tanto, quanto vi vorrebbe a compensare la perdita dei surriferiti vantaggj, provenienti dall’esistenza del Lago); E d’onde allora troveremo tante Famiglie, quando tanto al presente se ne scarseggia, e la mancanza delle quali è fuor d’ogni dubbio una delle principalissime cagioni per cui i terreni non a sufficienza coltivati, non rendono più quel fruttato, che dovrebbero, e che una volta rendevano? Che se la lusinga fosse, che prosciugato il Lago, e terminata del tutto la pesca, i Pescatori trovandosi senz’arte, passar dovessero alla coltivazion del terreno: vana lusinga al certo farebbe: perché quanto è difficile il trovare un Contadino, il quale (perché non assuefatto all’acqua troppo ne teme i pericoli) abbandoni l’agricoltura per attendere alla pesca; E strano non meno è il rinvenire un Pescatore, il quale contento del suo vivo mestiere, che gli porge il quotidiano mantenimento, tralasci la pesca per esercitarsi nella cultura del terreno. Laonde già parmi vedere questi dopo aver formato un fardello del suo miserabile equipaggio, e delle sue reti, coll’intiera Famiglia abbandonare il paese, e cercarsi altro Lago, ed altra pesca per procacciarsi con le proprie fatiche il sostentamento. Allora certamente farà, che vedremo tanti al presente popolatissimi Castelli, che circondano il Lago, spopolati, e diruti; e che la grande intrapresa del diseccamento del medesimo avrà potuto far ciò, che mai seppe produrre un’aria mal creduta da alcuni al presente nociva, e presso che pestilenziale.
Se dissi un’aria mal creduta nociva, e pestilenziale, non è questo, che da me sostenersi voglia, che l’aria del Lago sia delle ottime, e delle più salubri; ma bensì dire intendo, che se nociva taluno la vuole, solo relativamente creder debba: vale a dire nociva a quelli assuefatti a respirare un’aria sottile, e montuosa, come questa respettivamente può essere insalubre agli Abitatori di Paesi d’aria pesante, e goffa.
Ma poiché fin da principio di queste mie riflessioni mi sono prefisso di non entrare in simile provincia, lasciandone di ciò l’incarico a Persona di profondo sapere; facendo perciò ritorno alle riflessioni economico politiche, mi cade ora il pensiere, che quantunque il Lago Trasimeno alla R.C.A. appartenga, ed essa n’abbia l’alto dominio; molti Possidenti nondimeno, e la maggior parte dei Pescatori, possessori sono di alcune pesche, chiamate dai medesimi Porti, Arelle ec. Delle quali ne fecero l’acquisto, o con equivalente sborso in contanti, o con permute in terreni, o che doverosamente in altra simil guisa passate sono in loro dominio. Da queste benché comprate con lo sborso di poco denaro, perché d’intrinseco valore di pochi scudi, con ogni arte, e con industria pescate, tanto di profitto ne ritraggono, quanto dare ne potrebbe un pingue podere per l’annuo mantenimento di una intiera famiglia. Ora se sia lecito, desiderio mi prenderebbe di saper qual compenso al prosciugar del Lago, al distruggere delle pesche si daria, non dico ai Possidenti (ai quali ancora dar si dovrebbe), ma a quei poveri Pescatori, i quali in dette pesche fondati hanno tutti i loro Capitali, e che nell’utile, che dalle medesime con tanta fatica, e sudore percepiscono, riposte hanno le speranze tutte di sostentamento per la propria Famiglia? O il valore del compenso desumere si vorrà dal poco intrinseco valore delle suddette pesche; ed ecco ridotto miserabile il Pescatore, posseditor delle medesime; ovvero dar si dovrà al ragguaglio dell’utile non indifferente, che ne ritrae con la propria industria; ed allora gran parte dei prodotti, che si avrebbero dal terreno di nuovo acquisito, anderia pel compenso ai Posseditori delle perdute pesche. Onde in qualunque modo si vada l’affare, se i Signori Associati nella grand’opera per cercare il proprio avvanzamento, non volessero il pregiudizio di alcuni, e la miserabile oppressione di molti altri, anziché venir lor dichiarato, che tutto quello, che si acquisterà coll’arte, mediante la spesa di un nuovo Emissario, debba ad essi appartenere; dovranno fare un altro calcolo sui prodotti, e rendite a loro profitto, prima di accingersi, se non deggio dire alla non meno difficile, che incerta, potrò almeno chiamarla impresa dispendiosissima.
Che se i sovraddetti compensi luogo non avessero nel supposto diseccamento del Lago, perché o con l’apertura di nuovo Emissario, o col dare all’antico maggior luce di latitudine, e profondità per procurare un esito più copioso alle acque, si volesse fare un nuovo acquisto di terreno alle rive del Lago, senza distruggere questo del tutto, ma solo con ridurlo ad assai minore circonferenza, nel qual caso resterebbero in qualche modo ai Possessori le loro pesche; fa d’uopo allora riflettere, che non basteria la costruzione di nuovi edifizj, e Case rurali per li Coloni del terreno diseccato: Ma necessario sarebbe altresì di un nuovo fabbricato alle rive del già ristretto Lago, accioché non rimanesse inutile, ed infruttuoso, non essendo più al caso le presenti abitazioni per i Pescatori, come che allora troppo distanti dalla pesca. La precisa necessità del quartiere prossimo al Lago per lo Pescatore, evidentemente lo conoscerà chiunque sappia, che il medesimo esercita il suo mestiere, e fa copiosa preda di pesce più che in altra stagione nel rigido inverno, nei burrascosi giorni, nel maggior bujo della notte, passando sovente nella stessa notte dal letto alla barca, da quella al letto, dando così un qualche riposo al laboriosissimo impegno, ed un refrigerio ai gravissimi incommodi, che da sì cruda, e fredda stagione non vanno mai disgiunti.
Siccome peraltro i Socj nella enorme spesa, fra gli altri vantaggj, che lo Stato della compiuta opera ne risentirebbe, quello specialmente adducono della salubrità dell’aria (aria da essi creduta al presente carnefice degli Abitatori) ci fanno chiaramente comprendere, che vogliono il totale prosciugamento del Lago, lusingandosi di toglierne qualunque palude con formare un canale per dar l’esito alle acque, le quali per le piogge da monti, che lo circondano, scenderebbero nel prosciugato terreno, come ancora a quelle, che scaturir potessero dalle sorgenti: perciò non v’ha dubbio, che al felice successo di tutto questo cesseria affatto la pesca, e la Città di Perugia non meno, che le altre circonvicine dello Stato perderebbero un genere per le medesime, che tanto scarseggiano di latticini, presso che necessario, qual è l’abbondantissimo pesce non meno salubre, che di sapore squisito, e che impossibile loro sarebbe per altra parte avere, come dal mare, e da altri laghi lontanissime.
E se entro il giro solamente di pochi mesi d’inverno la piazza di Perugia provveduta viene di pesce di mare (benché in detti tempi ancora il più delle volte ne manchi) per lo cammino che dee fare di più giorni dalle spiagge dell’Adriatico per giungere ad essa, dai Cittadini non pesce, ma pesce a caro prezzo si compra, o per lo meno il pesce di peggior qualità, avanzo di quei paesi, per cui passò prima di arrivare, che del migliore ne fecero la scelta. Se ne’ giorni, nei quali vengono vietate le carni, e molto più in quelli, che non si può fare uso neppure de’ latticini (dei quali non pochi ne abbiamo nel corso di un anno), il Popolo Perugino, e dell’altre Città, benché sempre o in maggiore, o in minor copia provveduto di pesce del Lago, ed in specie della Lasca, che a vilissimo prezzo in vantaggio delle famiglie povere si vende; nondimeno perché alle volte non in tanta abbondanza, quanta necessaria sarebbe al bisogno e piena soddisfazione di tutto, con tanto rincrescimento ricorre alli pessimi, e perniciosissimi salumi, per la provvista de’ quali fuor d’ogni buone, ed economico regolamento tante migliaja escono da detta Città, e dallo Stato: Con quanta maggior ragione doler si dovrà, allor che privo affatto del pesce del Lago, tutto il detto Popolo per necessità a detti salami dovrà ricorrere, i quali se al presente a caro prezzo, a carissimo fuor d’ogni dubbio allora si venderanno? Prosciugato adunque il Lago, distrutta la pesca, si perderebbe un genere sì utile, sì vantaggioso, per fare l’acquisto incerto di altri prodotti, dei quali da un territorio sì fertile tanto se ne abbonda, e in maggior copia se ne abbonderebbe, se una buona parte di fecondo terreno per mancanza di Agricoltori non rimanesse del tutto incolto, o malamente coltivato.
Finalmente tralasciando altre riflessioni, che addur si potrebbero per dimostrare quanto alla effettuazion dell’impresa pregiudicata resterebbe la buona economia, come faria la mancanza dell’acqua in alcune stagioni ai Molini a grano, quando non vi fossero vive sorgenti, il devastamento delle Campagne per le inondazioni, che potrebbero venire nelle gran piogge o dal Canale che si farebbe, o dal fiume, ove questo anderia ad imboccare: Solamente si avverta, che quantunque l’origine del Lago Trasimeno sia a noi ignota, sappiamo per altro che nell’anno 1420 per impedire la sua escrescenza, o per tenerlo racchiuso nel suo seno, acciocché non allagase i terreni, ed i Castelli posti alle sue rive, per opera del famoso Braccio fu costruito l’Emissario, che presentemente esiste, per dar l’esito alle soprabbondanti acque. Ma non avendo allora data maggior latitutdine, e profondità al detto Emissario per diseccare il Lago, come ora si vorrebbe, che agevol cosa le saria stata con aggiungere non molto alla grande spesa della bell’opera; evidentissimo contrassegno si è, che sin d’allora conobbero il profitto grande proveniente dalla esistsenza del medesimo, e che tanto ottimo era il pensiere di tenerlo ne’ suoi confini ristretto, quanto biasimevole si è il desiderio di procurarne il totale diseccamento.
Se il desiderio di una società di Caratanti fosse d’intraprendere il prosciugamento di una palude, dalla quale ocularmente già se se scorge l’ottimo terreno, che si guadagnerebbe; per quanto la spesa fosse grande, difficile l’impresa, incerto l’esito: con ciò non potria che applaudirsi, al solo riflesso, che nulla di profitto si perderebbe; ma anzi si toglierebbe un gran male, qual è quello di un’aria pestifera, e micidiale, pregna sempre di putride esalazioni; l’acquisto si farebbe di un bene, che risulterebbe da un’aria corretta, e salubre; ed il vantaggio, si avrebbe dei nuovi prodotti del terreno diseccato, e ridotto a coltivazione. Non così però lodevol cosa può chiamarsi l’impresa di prosciugare un Lago, come è il Lago Trasimeno, sì celebre, sì bello per le Isole, Penisole, e Castelli popolatissimi, che lo circondano; un Lago dal quale tanto profitto ne ritrae il Principato, e tanto sostentamento i sudditi; un Lago, per la cui perdita tanto è certo il danno, che ne verrebbe, quanto incerto è l’utile, che derivar ne potesse; un Lago finalmente (mi sia lecito il dirlo) per le surriferite cose tanto invidiato, che la R.C.A. avendolo ai confini del suo Stato, se suo non fosse, potendo, tanto male farebbe a non farne l’acquisto quanto nel possederlo a volerlo distruggere.
Benedetto Bernardi
Pubblico Professore di Medicina, e di Notomia nella Università di Perugia.
Pubblicato dai torchi di Carlo Baduel con le dovute licenze in Perugia 1790.
Il testo riprodotto qui sopra fu pubblicato, in unico volume, con il saggio di Annibale Mariotti Riflessioni sul diseccamento del lago Trasimeno oggi detto lago di Perugia.
Immagine in alto: Cerchia di Clarkson Stanfield, R.A. (1793-1867) Bovini si dissetano, con lago sullo sfondo, cm. 17,2 x 26,7, matita e acquerello con tocchi di colore.