28 Mag 1862. Lenze, ami, esche e pesca alla canna sul lago di Como
di Giovanni Cetti
Delle Lenze
Grande oltre ogni credere è la voracità dei pesci. Le alghe e le erbe acquatiche che vegetano sul fondo del lago, i vermicciuoli che brulicano sotto i ciottoli presso la sponda, e gli insetti che dall’atmosfera cadono sulla superficie delle acque, tutti servono di alimento ai pesci, che piccola sortirono la bocca; ma quelli, cui natura fornì di bocca maggiore, amano cercare più lauta preda in altri pesci, movendo loro atroce ed incessante guerra, inseguendo e divorando a preferenza i più piccoli, non eccentuati gli individui della propria specie. Né raro è il caso di vederne qualcuno, boccheggiante, vittima della propria ingordigia, tener sporgente né poter ingollare un altro pesce, che non cape nella sua bocca e quasi lo pareggia in grossezza.
Divorare ed essere divorato è la legge cui la natura ha condannato il pesce. La sua vita altro non è che una scena di paure, di aggressioni, di fughe, di ostilità. Sempre affamato e insaziabile, va senza posa in busca di cibo: affronta i perigli, ed essendo privo del nervo che è l’organo del gusto, quasi indistintamente abbocca tutto ciò che incontra. E tale è la sua ingordigia, che sovente ritorna a quello stesso uncino che poco prima l’avea arrestato, ed anche tratto fuor d’acqua e lottante colla morte, avidamente inghiotte l’esca che tu gli appresti. Da questa cieca voracità dei pesci, l’uomo trasse per sé utile partito, ed ebbe origine la pesca della lenza.
Se all’estremo di lunga funicella tu attacchi un piccolo uncinetto, e questo ricopri di esca opportuna, poi lo getti nelle acque, tosto intorno intorno gli si aggireranno varii pesci, finché il più ardito od affamato, inghiottendo l’esca, resterà preso all’uncinetto, sì che tu di leggeri coll’altro estremo della funicella stretto alla canna lo potrai trarre alla riva. Ecco la lenza o la pesca all’amo.
La pesca alla lenza è uno dei migliori passatempi campestri, un dolce sollievo al lungo lavoro ed alle serie occupazioni: ad essa può con diletto applicarsi e il vispo fanciullo dei volubili pensieri, e il vecchio canuto delle gravi meditazioni, né disconviene all’innata gentilezza del bel sesso.
Questo genere di pesca fu conosciuto presso che tutti i popoli fin dalla più remota età. Sul nostro Lario era forse in maggior uso nei secoli andati, che non al presente, poiché oggidì il perfezionamento delle reti fornisce ai pescatori un mezzo a più facile ed abbondante pescagione e di maggiore diletto.
Quasi in tutti i mesi dell’anno si può usare la pesca alla lenza, la quale è meno costosa e meno complicata della pesca colle reti, e più adatta a qualsiasi genere di persone; Essa ha inoltre il vantaggio di fornire pesci più freschi di quelli presi colle reti: poiché morendo essi non appena danno nelle maglie, e non potendo tosto venir estratti dall’acqua, le loro tenere carni si rammolliscono e perdono della loro freschezza.
Il pescatore alla lenza deve esser fornito di molti oggetti relativi all’uso di essa, dei quali i più necessari e i principali sono: ami d’ogni grandezza, tanto semplici che composti, tanto sciolti che uniti ad un pelo di setale o di crine od a corde raminate; macchi-nette o smeriglioni di varie grandezze; setale e crine semplice e intrecciato; cordicella di seta e di filo di varie grossezze; piombi variati in grandezza e peso per le diverse qualità di lenze: canne grandi, medie e piccole; istrumenti assortiti per avvolgere le lenze: astuccio con aghi, cera, un temperino ed un paio di forbici; varie esche artificiali; un carniere di rete, ed un canestro per mettervi i pesci.
Presso i commercianti di oggetti di pesca, si trovano pure vendibili degli scandagli per misurare la profondità delle acque; degli anelli per distaccare la lenza dale erbe e dagli scogli; degli arpioni per nettare dalle erbe il luogo in cui si pesca, e degli arnesi per levare l’amo dalla gola dei pesci senza romperlo: ma tutti questi ordigni non sono indispensabili, e di poca pratica utilità nella pesca che si fa da noi.
In tre diversi modi si pesca all’amo sul nostro lago. Nel primo il pescatore sta fermo in sulla riva, e la lenza munita di uno o più ami, è attaccata all’estremo di una bacchetta, comunemente di canna, e perciò questo genere si chiama pesca alla canna.
Nel secondo, navigando in una barchetta, il pescatore si tira dietro nel lago una lunga lenza, la quale prende il nome di dirlindana.
Nel terzo modo finalmente il pescatore cala al fondo del lago una cordicella lunghissima ed armata di molti ami ad intervalli, e la vi lascia un’intera notte ed anche più lungo tempo; questa lenza dicesi spaderna.
Ma prima di descrivere le varie qualità di lenze, e il modo con cui si debbono usare, brevemente terrò parola della cordicella, del setale, delie varie specie di ami, e dell’esca, oggetti tutti necessari ad ogni maniera di lenza.
Cordicella
La cordicella con cui si formano le varie lenze può essere di seta, di crine, di lino o d’altro; di un semplice filo o di più fili torti od intrecciati. Ma di qualunque materia ed in qualsiasi modo sia fatta la lenza, basta sia abbastanza forte secondo i pesci che si vogliono pigliare. Si fa uso anche dell’agave americana, ossia del filo estratto da una specie di aloe, non che di filo sottilissimo di rame e di ottone.
Se si forma di crine, importante n’è la scelta. Esso deve essere lungo, bianco, elastico, rotondo e trasparente, dovendosi rigettare lutti i difettosi, come pure quelli delle cavalle, perché corrosi dalle orine. La seta deve esser cruda e ben lavorala.
La cordicella sia di crine, sia d’altro, deve essere eguale e non troppo torta, perché allora perde di fortezza ; la migliore è quella fatta a treccia o ad ossoli. Il colore è indifferente, servendo egualmente bene, se i fili di cui è intrecciata sono di un solo colore o di diversi: in generale però il loro colore deve essere piuttosto smonto, cioè tale che i pesci difficilmente li scorgano.
Il colore verde acqua è il migliore. Per tingere di questo colore il crine ed il filo si prendono 250 grammi di fuligine, un poco di allume, ed un poco di succo di foglie di noce; si fanno bollire per qualche tempo in un mezzo litro d’acqua, si lascia raffreddare la soluzione, indi vi si immerge il filo, lasciandovelo più o meno lungo tempo secondo la gradazione del verde che gli si vuol applicare.
Per torcere i fili a due a due, si annodano da un capo, indi tenendoli separatamente fra l’indice ed il pollice, si fanno girare dalla stessa parte. Ma tale operazione si può eseguire con un piccolo istrumento, di cui ecco la descrizione.
Prendesi una piccola assicella ben drizzata, larga 11 centimetri, lunga 32 centimetri, o più, e di 22 millimetri di grossezza. Ad una delle sue estremità vi sono tre fori, a, a, a, come i tre angoli di un triangolo equilatero (fig. 1). Il secondo pezzo di questo istrumento è un’altra assicella di figura rotonda da un capo, mentre il resto è foggiata a manico, per cui si tiene. Si fanno nel cerchio tre fori simili ai primi e che corrispondono esattamente a quelli. In ciascuno di essi si passa un uncinetto di filo di ottone piegato a manubrio di grandezza naturale, come vedesi alla fig. 2. La parte b d’ogni uncino passa in uno dei fori a dell’assicella, e la parte c dello stesso uncino passa in uno dei fori corrispondenti della paletta (fig. 3). Costruito in tal modo l’istrumento si fissa ad altezza conveniente, acciò i crini ed i pesi, di cui parleremo, non tocchino il suolo (fig. 4). Dopo aver annodati i due o tre crini ad un’estremità, si attaccano le altre a ciascuno degli uncini. Sospendesi con un uncino m al nodo inferiore un peso di piombo n che tiene tesi i crini; fra essi si pone uu turacciolo di sovero conico p, sul cui orlo vi sono tre intagli, o, o, o, per impedire che i crini si accavalchino (fig. 5)…. Mettendo in moto la paletta, si fanno girare in pari tempo i tre uncini, i crini si attorcono sotto al turacciolo, che va risalendo di mano in mano che la corda si attortiglia. [da Manuale del Dilettante della pesca, pag. 3]
Per torcere i fili della lenza sonvi pure altri istrumenti, simili al suddescritto (fig. 6).
Setale
Col nome di setale, (vulg. sedàl, o pél de cavallée), nome che ci ricorda la dominazione spagnuola, si chiama da noi la seta levata dal baco del bombix mori. In commercio è conosciuto sotto i nomi di pelo di Firenze, crine marino, e molti altri.
Si prende il bigatto, allorché compite le quattro mute sta per incominciare il bozzolo, ed é alquanto diafano, o come si dice vulgarmente maturo. Lo si ripone in un recipiente ripieno di buon aceto, cui si copre, e lo vi si lascia in fusione circa ventiquattro ore. Estratto il bigatto, si apre e gli si levano quei due fili aurei, che avrebbe esso svolto in seta sul bozzolo; si tiene l’estremo di un filo con una mano, e coll’allra, tenendolo stretto fra l’indice ed il pollice con un pezzolino di lana, si tira, per modo che allungandosi n’esca un filo da 30 in 35 centimetri, trasparente e forte almeno quanto dodici crini uniti. Deve essere rotondo ed uguale su tutta la sua lunghezza. Si può tingere del colore che si desidera.
Siccome la lunga esperienza e l’istinto della propria conservazione rende diffidenti e scaltri anche i pesci, i quali se appena entrano in sospetto che gatta ci covi, fuggono e più non ritornano, perciò si deve porre ogni cura nel coprir l’amo coll’esca, e attaccare a questo per qualche tratto un filo che difficilmente riesca visibile nell’acqua, acciò i pesci non s’avveggano dell’inganno, e più facilmente inghiottano l’esca. A tal uopo servono i fili o peli di setale, che si pongono fra l’amo e la funicella della lenza. Le lenze devono il loro maggiore perfezionamento alla scoperta ed all’uso del setale.
I varii peli di setale si uniscono fra loro colla cordicella, con tale un nodo che non li pieghi troppo rigidamente, affinché non abbia di leggieri a rompersi, e tale che non possa scorrere. Varie sono le specie di nodi che si possono usare; io qui ne descriverò due sole:
- Si prendono i due capi dei due fili, e si fanno passare nello stesso anello, e si stringe tirando i due capi a con una mano, ed i due capi b coll’altra (fig. 7). Questo chiamasi nodo da lenza.
- Si prendono i due capi dei due fili, e si fanno sorpassare l’uno all’altro tanto che si possa formare un nodo, facendo trascorrere i due capi una sol volta nell’anello, indi si tirano coll’una mano i due capi a b, e coll’altra i capi a’b’ (fig. 8). Dicesi nodo della rete.
Questi nodi non si sciolgono quando si abbia l’avvertenza, prima di stringere, di bagnare alquanto il setale, tenendolo in bocca alcuni minuti. Quando il nodo è ben stretto, tagliansi i capi per quanto è possibile presso il nodo; senza di che le estremità salienti, formando uncino, farebbero intralciare la lenza nell’adoperarla.
Il miglior setale che fra noi si venda in commercio viene dall’estero, però io sono d’avviso che usando un po’ più di diligenza nella fabbricazione, e scegliendo bachi non difettosi, anche da noi si potrebbe ottenere un ottimo setate, ne più avremmo bisogno di farlo venire d’oltremonte.
Ami
L’amo è un piccolo ordigno di ferro a guisa di uncinetto, il cui braccio più corto è appuntato, e termina a foggia di dardo, ossia in una piccola mezza freccia; il braccio più lungo è ordinariamente il doppio dell’altro. Il pesce l’ingoia coll’esca; non appena si avvede dell’inganno, si scuote, si dibatte, tenta rigettarlo, ogni mezzo pone in opera per uscire d’impaccio, ma invanamente: que’ suoi sforzi ad altro non servono che a meglio conficcar nelle proprie carni l’acuto uncino, il quale non può uscirne poiché lo vieta il piccolo dardo.
L’amo deve essere, generalmente parlando, lungo di fusto, alquanto grosso nella circonferenza, e colla punta acuta e dritta. La sua elasticità deve essere tale, ch’esso dietro uno sforzo non abbia a rompersi, né distendersi e rimaner dritto, ma riprendere la sua forma primitiva. Vi sono varie sorta di ami secondo le varie lenze, la qualità e grossezza dei pesci.
Gli ami comuni sono di acciaio, e generalmente i due bracci non si trovano nello stesso piano, essendo il più corto alquanto ripiegato. Ve ne sono di tutte le grandezze, marcati in commercio con differenti numeri progressivi. Alcuni all’estremità del braccio più lungo sono alquanto acuti (fig. 9), altri invece hanno un piccolo cappelletto (fig. 10); i primi servono allorquando si vogliono unire assieme fra loro due o tre ami (fig. 11). Per attaccare l’amo al filo della lenza si prende l’estremo del filo, e si unisce con un nodo doppio al braccio dell’amo che non è fornito di freccia là, dove incomincia la curvatura dell’altro braccio, e gli si attorcigliano intorno su tutta la sua lunghezza dei fili sottili di seta alcun poco incerati.
Un metodo facile e sicurissimo per unire il setale all’amo è il seguente. Si pone l’estremo del setale a rammolare nell’acqua per alcuni minuti: indi con un nodo si unisce al basso del braccio più lungo dell’amo, e rivolgendo il filo, si formano intorno al fusto tanti nodi finché il braccio dell’amo sia tutto ricoperto. Il setale asciugando si restringe, e resta saldamente unito all’amo.
Gli ami di spaderna sono in generale simili ai precedenti, di ferro ; e affinchè non irruginiscano, si coprono di stagno : il che si fa bagnando l’amo in acqua in cui siavi sciolto del sale ammoniaco, indi immergendolo nello stagno fuso. Alcuni hanno un piccolo cappelletto, altri invece hanno l’estremo rivoltato in guisa di formare on piccolo anello, (fig. 12). La lenza vi si attacca con un nodo. Per le spaderne si usano anche degli ami fatti ad ancora a tre punte, e sono di filo di ottone, acuti e senza freccia, e diconsi vulgarmente bagg (fig. 13).
Diversi dai precedenti sono gli ami di lanzettera. Si costruiscono di filo di ferro o di ottone sottilissimo, ed hanno la figura di due pezzetti di filo uniti sotto un angolo ottuso. Ognuno può costruirli da sé con facilità. Un estremo è acuto e senza dardo, e il braccio non acuto si unisce all’estremità della lenza con filo di seta come negli altri ami (fig. 14).
Vi sono pure varie altre sorta di ami: gli ami doppii, dei quali, alcuni hanno due piegature contrarie l’una all’altra, che all’estremità dei bracci più lunghi formano un piccolo anelletto per attaccarvi la cordicella (fig. 15), altri hanno le piegature dalla stessa parte (fig. 16): ami colla molla, la quale quando il pesce ha abboccato l’uncino, si apre e lo prende colla bocca aperta (fig. 17): ami ingolatori o adescanti, i quali sono simili agli ami comuni bicurvi, la cui ripiegatura forma due gomiti molto pronunciati (fig. 19, 20), ed altri; ma tutte queste varietà d’ami non sono usate generalemnte sul nostro lago. Sulle sponde dell’Oceano alcuni pescatori si servono di ami di legno, formati di uno spino a cui lasciano attaccato un poco di legno del tronco.
Gli ami migliori sono quelli, che si fabbricano in Inghilterra ed in Irlanda; ma ciò non toglie che in altri paesi ed anche in Italia si possano costruire ami eccellenti.
Esca
Conoscere quali sieno le esche che maggiormente tornano gradite ai pesci, secondo le varie specie, e nelle diverse stagioni, è cosa essenziale per il pescatore all’amo. Gli Inglesi, che molto si dedicano a questo genere di pesca, fecero degli studi, istituirono delle osservazioni sul gusto dei varii pesci, e sulla diversa qualità delle esche, sì che la pèsca all’amo presso quegli isolani toccò un perfezionamento maggiore, che presso gli altri popoli.
Le esche si distinguono in naturali e artificiali.
Esche naturali. Queste ci vengono fornite dalla stessa natura, e ponno dividersi in semplici se vengono usate senza alcuna modificazione, ed in composte se sono formate di varie sostanze.
Le esche semplici consistono principalmente in piccoli animalucci, come i vermi di terra detti lombrici, i vermi della carne imputridita, le mosche, le formiche alate, le uova di alcuni insetti, i bruchi, le farfalle e gli scarafaggi. Servono pure quali esche i piccoli pesciolini, i gamberi, le rane, i molluschi sì terrestri che di lago, i sorci, i pulcini ed altri animali appena sortiti dall’uovo, non che i frutti di alcuni vegetali.
I lombrici ritrovansi in gran numero nei letamai, nelle terre grasse degli orti, sotto le pietre ed i vasi di fiori nei giardini, e fra i ciottoli nel letto dei torrenti. Per farli sortire dalle loro tane, si ficca un paletto nel suolo e si scuote fortemente, ovvero si versa sulla terra acqua salsa o decozione di foglie di noce. Dopo la pioggia si trovano alla superficie, e di notte, mentre quei vermicciuoli escono strisciando sul terreno, si raccolgono al chiarore di un lume.
Per conservarli lungo tempo si pongono in un vaso ripieno di muschio umettato, che rinnovasi dopo alcuni giorni. Anche gli altri vermi si conservano in vasi ripieni di muschio, e se dopo qualche tempo immagriscono (il che si conosce dai nodi che sono verso la metà del corpo i quali mostransi più salienti) si imbeve il muschio di un poco di latte, e questa operazione si ripete tutti i giorni.
Le esche composte sono di molte specie. Impastando insieme vermi di carne imputridita, argilla e stereo cavallino, oppure mollica di pane bagnato nel latte, formaggio vecchio grattugiato e lardo rancido, ottengosi esche ottime a prendere molte specie di pesci. Altre esche si compongono con mollica di pane mista a carne cruda triturata; con fave palustri cotte col miele; con frumento, orzo e canapuccia bollite insieme; con bocconi di polenta, ecc.
Esche artificiali. Quantunque il pescatore all’amo conosca minutamente quali sieno le esche naturali che più vengono gradite dai varii pesci, pure siccome di esse alcune non ritrovansi che in certe stagioni dell’anno, altre non sono comuni a tutti i paesi, così gli torna impossibile il procurarsele ogni qualvolta gli talenta, od in quella quantità che gli abbisogna. A tale inconveniente il pescatore rimedia coll’uso delle esche artificiali, le quali consistono in insetti, pesciolini ed altri animalucci artefatti, che nel colore e nelle forme rassomigliano i pesciolini e gli insetti naturali, che meglio riescono siccome esche. E vero che l’arte non può al tutto uguagliare le minute forme delle membra, e la variata vivacità dei colori di certi insetti, e che le esche artificiali quasi sempre non figurano che imperfettamente gli animali che si vollero imitare e di cui portano il nome; ma ciò punto non scema l’importanza delle esche artefatte, poiché l’esperienza ci dimostra che i pesci hanno tale una voracità, che abboccano alle più goffe imitazioni.
I pescatori fanno uso delle diverse esche artificiali, secondo le diverse ore del giorno e le circostanze in cui pescano: un insetto è migliore la mattina, l’altro la sera, questo quando è nuvoloso, quell’altro quando è sereno. Credo inutile distendermi su tale argomento, bastando l’osservare che in generale i piccoli insetti sono preferibili ai grandi, e che quelli di color chiaro riescono meglio quando è nuvoloso, e quelli di color oscuro quando splende il sole.
Facile è la costruzione degli insetti artificiali, ed ognuno può di leggieri prepararli da sé. Il corpo si forma con pezzetti di stoffa, uniti con fili di seta, di lana, ovvero d’argento e d’oro. Le ali si compongono con piumicine colorate di volatili, a cui si dà una conveniente forma e posizione. Col crine, il vello ed il pelo degli animali s’imita il vellutato di certi insetti. Se devono galleggiare, si formano con stoffa di lana.
Questi insetti artificiali si uniscono saldamente al braccio più lungo dell’amo, formando cosi gli ami adescanti e ingolatori, dei quali uno solo serve a prendere molti pesci (fig. 21, 22, 23, 24).
Fra le esche artificiali si usano comunemente i pesciolini, che si compongono di stoffe colorate e lucenti, di argento, di cristallo, di madreperla e di guttaperca, Un pezzetto di pelle bianca foggiata a guisa di pesce, od una semplice piumicina servono allo stesso scopo. Le rane, i topi e gli altri animali s’imitano pure artificialmente, ma sono di un uso meno comune.
I varii generi di esche artificiali formano un piccolo ramo d’industria, di cui trovasi un completo assortimento nelle botteghe di strumenti per la pesca.
Pesca alla canna
I. Lenza comune. La lenza comune, o lenza propriamente detta, consta di una bacchetta a cui si attacca una cordicella, la quale alla sua estremità è armata di un amo; fra questo e la cordicella pongonsi alncuni peli di setale (fig. 25).
Se si pescano piccoli pesciolini; l’amo sarà pure piccolissimo, ed il filo corto e sottile: ma se si desidera più grossa preda, l’amo sarà più grande ed il cordoncino più forte e di maggiore lunghezza. La lenza deve sempre crescere in fortezza partendo dall’amo andando verso la canna.
La bacchetta perché sia leggiera si fa comunemente di canna, più o meno lunga, ed alla sua estremità si pone una piccola bacchettina di legno, pieghevole ma abbastanza forte. Questa si unisce alla canna introducendola nell’ultimo suo nodo, indi legandola stretta con più giri di ramino o di filo torto ed incerato.
La canna può essere formata di varii pezzi di diversa grossezza, essendo perciò più comoda a trasportarsi. Quando si vuol porre in opera, si congiunge introducendo alquanto nell’ultimo nodo del pezzo più grosso, il pezzo susseguente in grossezza, il quale vi si adatta perfettamente, e vi si affranca. Più comode sono le canne in forma di bastone. Levata la cima che vi si adatta a vite, si estraggono i vari pezzi di canna l’uno dall’altro a guisa dei tubi d’un cannocchiale, e all’estremità vi si attacca la lenza, che si tiene ben piagata in una scatola.
Sonvi pure delle lunghe canne fornite su tutta la loro lunghezza di piccoli anelli di rame o di ferro, i quali servono a condurre la lenza lungo la canna mediante un molinello applicato al suo principio; ma queste canne si usano per lo più alla pesca dei grassi pesci di mare.
In generale la canna deve essere leggera, flessibile, senza mollezza, lunga e forte. Quelle di bambou e di noce bianco d’America, e le nostre canne comuni sono le migliori. Si possono usare anche altri legni, come nocciuolo, salice, pioppo, ecc., purché abbiano i suesposti requisiti. Presso i fabbricatori se ne trovano di eleganti, e ben lavorati, ma ognuno può di leggieri costruirli da sé.
A compiere la lenza fa d’uopo d’una piva, o volgarmente veletta o velina, la quale consta di un cannone di penna, nel quale si fa passare la cordicella che tu con due turaccioletti di sovero, con un anellelto, od in altro modo (fig. 26), potrai affrancare a conveniente altezza, secondoché vorrai dare più o meno fondo all’amo, stando la veletta sempre alla superficie dell’acqua. Se la lenza è molto grossa, allora farai passare il cannone della penna in una palla di sovero forato e colorito (fig. 27, 28 e 29). Le velette si possono costruire di diverse materie, e di variate foggie e grandezze: in generale però sono sottili alle estremità e rigonfie nel mezzo. Quando esse servono a tener sospesa l’esca, devono essere proporzionate ai piombi attaccati alla lenza. La veletta, come lo indica lo stesso suo nome, serve ad avvertire il pescatore quando il pesce ha abboccato l’esca. La lunghezza della lenza che sta fra l’estremo della canna e la piva deve essere tanta quanto quella della canna stessa.
Le lenze possono dividersi in tante specie, quante sono le specie dei pesci che si ponno prendere; ma la loro differenza non consiste che nell’amo più e meno grande, nel filo più e mene forte, e nella
canna più o meno lunga. Colla lenza comune si può pescare in due modi: coll’uno l’esca rimane sospesa nell’acqua, e coll’altro l’esca tocca il fondo.
Si deve aver molta cura nel caricar l’amo coll’esca, poiché da ciò dipende sovente la maggiore o minor presa di pesci. I vermi s’infilzano nella loro lunghezza finché abbiano oltrepassato la freccia dell’amo; e se sono piccoli, se ne pongono molti uniti, infilzandoli attraverso la metà del corpo. In ogni caso è sempre necessario che il piccolo dardo dell’amo sia intieramente coperto.
I lombrici si caricano facendo passar l’amo lungo il loro corpo, e lasciandone libera una parte, la quale co’ suoi movimenti serve ad attirar più facilmente i pesci. Se i lombrici fossero piccoli, se ne adoperano due, e coll’uno si copre tutto l’amo sino all’estremità del braccio lungo, e coll’altro si carica come or ora abbiam detto.
Nell’attaccare il piccolo pesciolino vivo, si deve avere l’avvertenza di non troppo offenderne le carni, acciò possa vivere lungo tempo.
L’esca varia col variare dei pesci che si vogliono prendere. Vuoi tu pescare alborelle, triotti esimili pesciolini? Sulla freccia del piccolo amo porrai piccola pallottola di mollica di pane, un moscherino, un vermicciuolo o che so io. Dove tu vedi brolicare sciame di pesciolini, getta l’amo, e tenendolo colla canna sospeso o con una piva, non lo lascerai toccare il fondo. L’ingordo pesce ben presto abboccherà l’esca; tu allora darai una tirata, ma avverti bene che l’esca gli sia del tutto entrata in bocca, poiché altrimenti correresti rischio di non pigliarlo. In breve ti verrà fatto accalappiarne di molti, principalmente se peschi fra le erbe ed i sassi che sono vicini ai giardini ed alle case, che si specchiano nel lago. Questi pescetti si pescano quasi in tutte le stagioni dell’anno, e ponno servire a caricare le altre lenze a più grossa preda.
Astutissimo è il cavedine, però tu potrai prenderlo di leggieri, usando per esca una crisalide del baco da seta (vulg. bordôch), di cui esso va ghiotto. Introduci diligentemente l’amo nella crisalide in guisa che punto non si vegga, e lo getta nelle acque in luogo ove facilmente venga adocchiato dai pesci. Talora se ne prendono di assai grossi, specialmente d’estate in vicinanza alle filande, ove le donne vanno a sciacquattare la baccaccia.
Per pescare i pesci persici, si carica l’amo con un lombrico o verme di terra. Se tu all’amo sovrapponi un boccone o di polenta, o di alcune delle esche composte, e lo getti a molta profondità nel lago, potrai facilmente prendere tinche; barbi ed altri grossi pesci; però convien scegliere luoghi opportuni.
Il pescatore non appena ha gettato l’amo deve conservare il massimo silenzio, star fermo al suo posto, evitare che l’ombra del suo corpo vada a cadere nell’acqua nella direzione dell’esca, e star coll’occhio attento alla veletta per tirare non appena essa, curvandosi sotto l’acqua, dà segno che il pesce ha ingoiato l’esea;
Molto interessa al pescatore il conoscere le stagioni, le ore e le circostanze, in cui i pesci più facilmente abboccano, non che i luoghi che sogliono frequentare e le loro abitudini.
La stagione migliore per pescare alla canna è in generale la primavera; ma si può pescare con profitto dal mese di marzo a tutto novembre. Le ore più propizie sono la mattina avanti il sorgere del sole, e la sera sul tramonto. Le giornate calde, ma coperte di nubi, principalmente dopo una notte illuminata dalla luna, e le ore che precedono ai temporali sono assai favorevoli a questo genere di pesca. Nei tempi procellosi i pesci si avvicinano alla riva, ma solo nei luoghi profondi; se forte soffia il vento ritraggonsi nelle cavità degli scogli, ma un leggier venticello li attira verso la sponda e li invita all’esca. Quando sulla superficie del lago cadono o piccoli moscherini o sciame d’effemeridi, essi pure vengono a galla. D’estate dopo un forte acquazzone si avvicinano alla riva per predarvi gl’insetti ch’esso seco trasporta.
Questa pesca si conviene a qualsiasi ceto di persone, ed a qualsiasi età, ma i fanciulli specialmente vi si dedicano con diletto. Ed oh! quanto grata ancor mi giunge al core la rimembranza de’ miei primi anni, quando nelle autunnali vacanze ritornava al mio paesello natio, e seduto sovra uno scoglio, sovente coll’amo e colla canna tendeva insidie ai pesciolini, che a frotta guizzavano nella purissima onda!
II. Mescoletta. Chiamasi volgarmente mescoletta, o meglio moscoletta una lenza simile alla precedente attaccata ad una lunga canna. Il nome le venne dall’usar per esca una mosca od una farfalla. Questa lenza può esser munita di un solo amo, o di più ami i quali distano fra loro 15 o 20 centimetri, e si uniscono al filo principale con un pelo di setale della lunghezza pure di 15 a 20 centimetri. Per esca si usano generalmente insetti o scarafaggi: anche gli ami ingolatori ed adescanti si ponno fornire di bruchi e farfalle artificiali.
Per pescare alla mescoletta si sta in piedi su la prora di un battello, che sen va riva riva, e scuotendo la canna si getta l’amo in avanti. Si sofferma la barchetta, ed il pesce che dal fondo vede cadere sulle acque un insetto, precipitosamente con avidità si avventa contro di esso, l’abbocca, e trova così la sua morte. Tal pesca si fa principalmente in vicinanza agli scogli, e nelle giornate in cui il lago è leggermente increspato da venticello. Si prendono cavedani ed altri pesci.
Con questa lenza si pescano pure pesci persici, lucci, e simili. A tal uopo si adopera per esca un’alborella viva, la quale cala al fondo trattavi da un pezzettino di piombo attaccato all’estremità della cordicella. Colla canna si getta l’alborella alcun poco avanti la prora della barca, la quale si sofferma, e coll’occhio attento si sta alla veletta. Se dopo qualche tempo la veletta non dà alcun segnale, allora si progredisce colla barca, e si rimove la lenza dal luogo ove si trova. Nei bassi fondi ricoperti di ciottoloni e di erbe acquatiche più proficuo riesce un tal pesca. Talora si prendono dei lucci molto grossi.
III. Lanzettera. È una lenza che porta molti ami, detti di lanzettera, e diversi degli altri, come abbiam già detto sopra. L’estremità della lanzettera si forma di crine; al filo principale che consta di più crini attorcigliati, alla distanza di 10 a 15 centimetri, si attaccano altri fili d’un sol crine, a cui sono uniti gli ami (fig. 30). Un pezzettino di piombo attaccato all’estremo del filo principale serve a tenerla verticale nell’acqua, mettendovi alla superficie una veletta.
Per esca si usano i vermi di terra, detti lombrici. Questa lenza serve solo a prendere le alborelle ed altri simili pesci (sul lago di Como serve pure a prendere gli agoni). Per pescare si prende una lunghissima canna, e scuotendola si getta nel lago la lunga serie degli ami. Ovvero con un battello si calano qua e colà gli ami nel lago, tenendoli sospesi con un pezzo di sovero o di canna. Dopo qualche tempo si vedrà la veletta muoversi, il che indica che già qualche alborella vi si è attaccata. Quando tu crederai opportuno, estrarrai la lenza dal lago e vi vedrai attaccati molti pesciolini. Levali questi e ricaricati gli ami che sono privi di esca, li getterai nuovamente nelle acque.
Questo genere di pesca era molto in uso in tutti i paesi vicini alla riva, ma al presente, e per la diminuzione delle alborelle, e per l’introduzione degli alboretti e tremaggini, in allora proibiti, cadde quasi in dimenticanza. Ma forse si tornerà a ripigliarlo, poiché essendo ora sul nostro lago vietato l’uso del sibiello all’epoca della frega degli agoni, si potrebbe con utilità introdurre per la loro pesca questo genere di lenza, il quale se non darà la quantità dei pesci che si prendevano pel passato col sibiello. potrà almeno fornirne quanto basti all’ordinario consumo dei litorani.
- Questo brano è tratto dal volume dell’Ing. Giovanni Cetti, Il pescatore del Lario, descrizione delle reti e dei vari generi di pesca in uso sul lago di Como, pubblicato a Como nel 1862, dagli editori Carlo e Felice Ostinelli, pp. 39-64.