26 Nov 1935. I sistemi di pesca nella laguna di Orbetello
Arturo Mengoni, La pesca nella laguna di Orbetello. Aspetti di un’industria marinara, “Le vie d’Italia, rivista mensile del Touring Club Italiano, organo ufficiale dell’Enit”, annata 41, gennaio 1935, pp. 27-32.
Lo specchio d’acqua intorno ad Orbetello veniva, fino a pochi anni fa, ingiustamente denominato «Stagno». Laguna è, invece, come ci dicono le carte dell’Istituto Geografico Militare e quelle del Touring. Ha quattro canali in continua comunicazione col mare, e perciò le sue acque sono costantemente mosse.
L’Argentario ed il territorio che corre parallelo alla strada ferrata della linea Roma-Pisa opposti di lato – sono fra di loro uniti dai tomboli della Feniglia e di Giannella – lunghi ciascuno sette chilometri e larghi da 500 a 1000 metri. Quello della Feniglia, staccandosi in prossimità dell’Ansedonia, e l’altro della Giannella dalla foce dell’Albinia, si congiungono all’Argentario, il primo dalla parte di Porto Ercole, il secondo da quella di Porto S. Stefano, e precisamente alla rada di S. Liberata. Questi due tomboli, col loro ciclopico abbraccio, racchiudono negli altri due lati opposti la Laguna, come volessero difenderla dalle furie del Tirreno.
[Monte Argentario e laguna di Orbetello – stralcio dalla carta d’Italia TCI]
La Laguna, che ha una periferia di trenta chilometri circa, è divisa in due bacini da una diga artificiale (lunga un chiometro, con sei ponti per la comunicazione delle acque) tra la città e l’Argentario, e dal territorio sul quale corre la strada provinciale che conduce alla stazione ferroviaria di Stato. Col mare essa comunica, come abbiamo già detto, per mezzo di quattro grandi canali, larghi 25 metri ciascuno, a Massa Fibbia e Ansedonia.
Il bacino di levante (da esso spiccarono il duplice volo vittorioso le aquile di Balbo), è lasciato dal Comune alla pesca libera: in quello di ponente, dove sono situate le due peschiere comunali, quella di Nassa – la più importante col suo canale brevissimo in diretta comunicazione col mare, e quella di Fibbia (il cui canale, lungo tre chilometri, ha indiretta comunicazione marina per l’ultimo tratto del fiume Albinia) quindici pescatori, sorteggiati su sessanta circa, esercitano il mestiere al difuori dei limiti di bandita delle peschiere stesse, alle quali è adibito invece un personale fisso.
Nella Laguna non si praticano le semine: essa è ricca di pesci, dato il ripopolamento automatico di novellame che vi entra per i suoi canali comunicanti col mare, nei quali il dislivello – che normalmente è di 30/40 centimetri – di sei ore in sei ore, raggiunge anche gli ottanta centimetri quando infuriano i venti.
La bassa marea invita il pesce a rimontare le correnti e perciò ad entrare nella laguna attraverso i canali, senza poterne uscire.
Quando invece si inizia l’epoca della pesca, questi canali vengono attrezzati con strumenti di cattura, ed avviene allora che, durante i periodi ai alta marea, i pesci richiamati per il loro istinto direttivo verso il mare, risalgono la corrente rifacendo inversamente il percorso, per rimanere prigionieri nei canali stessi, costruiti in muratura (in termine locale: «bondanoni»), i quali, dopo una notte buia e burrascosa, possono popolarsi di dieci, venti e più tonnellate di pesce bianco di ogni specie, e anguille e capitoni che vengono spediti ai mercati di Roma, Napoli, Firenze e Genova, quando maggiore ne è la richiesta – come nelle vigilie – e quando le burrasche in mare impediscono la pesca.
[Un «lavoriero» della «cassa di morte» mentre si estrae il pesce con larghe reti fatte a borsa (coppi)]
Al giungere di un telegramma di ordinazione, si leva il pesce dai «bondanoni» ed ancor vivo si spedisce la sera per farlo giungere sui mercati la mattina seguente. Privilegio, come ognun vede, grandissimo, dal lato della quantità che si vuole spedire, per la sua freschezza, nonché da quello del maggiore prezzo ricavato nei periodi di scarsità.
[Si trascina la «rezzuola» o tramaglio lungo il canale che pone in comunicazione la peschiera comunale di Nassa col mare aperto]
La levata del pesce rappresenta uno spettacolo attraentissimo, sia che il personale addetto alla peschiera lo levi dalle «casse della morte» a mezzo di reti fatte a borsa (cóppi), sia che si trascini la «rezzuola » lungo i «bondanoni», fino alla spiaggetta. Il suolo allora è tutto un argento che al sole dà riflessi di specchio: saltano, le grosse spigole (labrax lupus), nelle contrazioni della morte, dilatando le branchie scarlatte e spalancando la bocca. Ve n’è di cinque e sei chili ciascuna. E così le orate (Chrysophoris aurata), pregevoli anch’esse, cui la furberia di appiattarsi sul fondo del lago, questa volta a nulla ha giovato. Ecco i «mazzoni» le «celete» le «goterosse» ed altre specie, tutte in tale comunione come in vita non lo furono mai!
[Levata del pesce dalle «casse della morte» con le reti a larga borsa dette «coppi»]
La ridda dura un pezzo; ma ora c’è da sbrigare il lavoro per fare in tempo per la partenza del treno; e così il personale provvede a sistemare i pesci nelle apposite ceste, dopo averli ripartiti per qualità, ponendo attenzione a non farsi pungere dalle spine, specialmente da quelle delle spigole, a volte pericolosissime. Ma ce ne sono molti che non vogliono morire, e , per quanto già incuneati uno accanto all’altro, danno sobbalzi e scompongono le file… Uno strato di ghiaccio ben triturato, sopra; legatura delle ceste, e domani, tutta quella grazia di Dio formerà la delizia di tanti ghiotti stomaci delle grandi città.
Come si è detto, il bacino di ponenete è riservato alla pesca del Comune, il quale gestisce direttamente le due peschiere, mentre per la pesca al largo – fuori della bandita – riceve dai pescatori vaganti (quindici) una parte del pesce pescato. Un gettito, quindi, assai rilevante (potremmo quasi dire: inesauribile) per le finanze del Comune stesso, dal quale attualmente ha la concessione di tutto il prodotto una ditta partenopea.
[La levata della «rezzuola» da uno dei canali in murata (bondanoni) della peschiera Comunale di Nassa]
Una storia che si perde nei secoli hanno le peschiere di Orbetello. Esse fornivano i pesci prelibati alle mense delle ville romane, molte delle quali – come quella di Domizio Enobarbo sull’Argentario – disponevano di vivai salsi per la loro conservazione. I ruderi di tali vivai sono tuttora visibili anche a chi viaggiando sul tronco ferroviario Orbetello Città – Porto Santo Stefano, mentre della villa tutto è scomparso, meno che alcune colonne interrate. Quei resti, in parte sommersi, ci documentano fino a qual punto fossero sviluppate venti secoli indietro, le cognizioni circa tale materia.
I vivai della villa domiziana erano alimentati dall’acqua dolce racchiusa in un grande cisternone posto sul colle, di dove scendeva a mezzo di condutture in altre piccole cisterne che servivano per aerearla, per poi affluire nei vivai stessi. Dei pesci in tal modo ingrassati, si faceva largo consumo nei frequenti conviti che si tenevano tra il fasto della villa e al cospetto della maestosità del mare.
[La pesca alle anguille col «bertavello» specie di rete a forma di cono, divisa in tre camere comunicanti che vien posta al termine di una siepata di cannicci selvatici disposti a V aperto]
Una pesca caratteristica e redditizia è anche quella fatta al largo col «bertavello» (specie di rete a forma di cono, lunga due o tre metri e divisa in tre camere comunicanti), posto al tremine di una siepe di cannicci selvatici intessuti dai pescatori stessi e foggiata a V aperto che, fermando il libero corso delle anguille e dei capitoni, li instrada verso la bocca del «bertavello» stesso. Anche per l’«arellone», che è di egual forma del «bertavello», ma che è lungo dodici metri e diviso in due camere, si pratica lo stesso sitema. Quando imperversa la burrasca, durante la quale le anguille e i capitoni vogliono migrare verso il mare per deporre le uova, si registrano pesche considerevoli: in una notte se ne possono catturare cinquanta ed anche cento quintali.
Quanto mai interessanti sono anche le cosidette «cinte» ai «mazzoni» (mugil capito).
Quando la flottiglia dei barchini – caratteristiche imbarcazioni a carena piatta, che da lontano ci rammentano le piroghe – muove all’assalto della preda, par di assistere ad una manovra militare in miniatura. Le vedette lanciate nel lago in direzioni diverse, appena scorta la compagnia dei mazzoni (durante i grandi freddi i pesci sì riuniscono per trovare ristoro sommando le loro eccedenze caloriche), chiamano a raccolta il grosso della «squadra» la quale, con rapide evoluzioni, la cinge circolarmente con reti per seicento o settecento metri, ponendo nel mezzo altre reti verticali («stanze») e, al difuori,lungo quella circolare, ancora reti (queste però in posizione orizzontale), dette «saltatorie» dove molti pesci, credendo di salvarsi col salto, rimangono invece catturati. È questo uno spettacolo pittoresco e pieno di attrattiva, tra il festoso vocio dei pescatori ed il movimentato lanciar di fiocine contro i pesci rimasti nell’interno della cerchia: spettacolo che dura più ore e che si conchiude col ritorno dei barchini al porticciolo, carichi di ben sessanta, ottanta ed anche cento quintali di pesce.
La pesca con la fiocina si esercita, inoltre, tanto di mattina presto («scoperta»), quanto nelle notti illuni, con luce a gas acetilene, (una volta si usava la fiamma delle «tede», piccolissimi pezzi di pino selvatico). Divertentissima sempre, e per la cattura dei pesci – anguilla specialmente – e per tutto ciò che circonda ed accompagna questa pesca, essa si fa col barchino, spinto da un rematore. Colui che ha la fiocina, sta in piedi sulla breve prua e dà gli ordini al compagno non appena scorge la preda. Molte volte la pesca si fa da soli, dirigendo l’imbarcazione con la fiocina stessa. E così pure alla «scoperta», nella serenità mattutina di uno scenario di incomparabile bellezza – pronubo l’Argentario sempre verde – che ha per sfondo le alte cime dell’Amiata.
[Trasporto del pesce pescato lungo il canale di immissione della peschiera di Nassa]