28 Ott Descrizione geografica, fisica, e naturale del Lago Trasimeno
Quella che segue è la trascrizione della Descrizione geografica, fisica, e naturale del Lago Trasimeno comunemente detto il Lago di Perugia di Bartolomeo Borghi che fu pubblicata postuma nel 1821. Tenendo conto dei dati che l’autore fornisce (che non vanno oltre i primi anni Novanta del Settecento) e dei suoi ripensamenti successivi su questioni come la bonifica totale del lago (che egli ripudia in una lettera del 1813), questo scritto molto probabilmente si riferisce alla fine del XVIII secolo.
Descrizione geografica, fisica, e naturale del Lago Trasimeno comunemente detto il Lago di Perugia.
Del Signore Arciprete Borghi.
Spoleto MDCCCXXI. Dalla Tipografia Bassoni (Con App.)
In quella parte dello Stato della Chiesa, che chiamasi Territorio di Perugia, e verso il Maestrale di quello, è situato il Lago dagli antichi Romani chiamato Trasimeno, il quale in oggi benché fra la colta gente abbia conservato il suo nome, chiamasi nonostante dalla comune il Lago di Perugia, abbenché ne sia lontano circa dodici miglia, e rimanga da questa separato da una catena di monti. Una catena di questi monti, la quale distaccasi dall’Appennino verso le sorgenti dell’Arno, e del Tevere, si stende tortuosamente fino a quella parte, gli sovrasta a Tramontana, e degenerata poscia in alti Colli, lo fiancheggia dalla parte di Levante fino al Castello di S. Savino. Un’altra catena di monti, la quale partendo dal monte della Peglia nell’Orvietano, e dal monte Erile, detto più communte la montagna di Pratalenza, e del Piegajo, stendesi tortuosa, fin là, lo fiancheggia dalla parte di Mezzogiorno. A Ponente egli lambisce le Pianure del così detto Marchesato di Castiglione.
La figura di questo Lago, benché dagli antichi Topografi, ci sia stata rappresentata rotonda, o quasi ovale, ella è nulladimeno irregolare, formata da varj seni, che s’inoltrano dentro terra, i più rimarcabili de’ quali, sono quello, che si approssima al Castello del Borghetto, l’altro a mezzogiorno di Castiglione, il terzo considerabile, che si estende fino alle falde dei monti, ove sono situati i Castelli di Montebuono, e S. Savino, chiavmato la Valle di S. Savino, ed il quarto anche più rimarchevole, che s’inoltra dal Monte del Lago, e la terra di Passignano fino alla Torricella. Due Promoutorj, anzi Penisole, l’una a Levante, e l’altra a Ponente, cui giace la terra di Castiglione , lo dividono in certa maniera in due porzioni quasi eguali, una delle quali rimane a Tramontana, e contiene poco distante dal Lido le due isolette, l’una chiamata maggiore, e l’altra minore, o Isoletta, abitata la prima, e l’altra deserta. L’altra porzione rimane a mezzogiorno, e contiene una terza Isola chiamata Polvese, prossimamente giacente al Castello di S. Feliziano.
La sua geografica situazione comincia a 43°.6.30., ed estendesi fino a 43°.13 di latitudine Settentrionalea in longitudine comincia a 29°. 35. e termina a 29° 45. La sua maggior lunghezza nella direzione da Scirocco a Maestro è di miglia noveb, e la sua maggior larghezza. è di miglia sette, o poco meno da Levante a Ponente.
Stanti le sue incessanti escrescenze, e decrescenze, le quali succedono secondo la maggiore, o minore quantità delle piogge, che cadono nei varj anni, non é possibile determinare definitivamente la di lui superficie. Non ostante ella può determinarsi approssimativamente a quaranta miglia quadre, cosicché valutando ogni miglio cento ottanta rubbia, e mezzo, tutta l’area a rubbia sette mila duecento venti, che è lo stesso che a Mine vent’otto mila, ottocento ottanta misura di Perugia.
Oltre l’annuale periodo di escrescenza nell’Inverno, e Primavera, e di decrescenza nell’Estate, il quale poco più, poco meno realmente esiste, secondo le Invernate o primavere più, o meno pìovose, é stato da molti creduto, ed asserito, che questo Lago abbia un costante periodo di escrescenza, e decrescenza ogni 30. anni. Le osservazioni, ed i fatti peraltro mi comprovano esser falso l’asserto.
In generale può dirsi, che nei tempi remoti, abbia durato qualche secolo lo stato di massima decrescenza, poiché notasi in Passignano, che esistono sott’acqua, e molto distanti dal lido le fondamenta di molte case, le quali costituivano un’altr’ala di Vicolo inferiore all’attuale, ove passa la Corriera Toscana. Poco prima della metà del secolo passato egli stette 20. anni in continua decrescenza, di maniera che essendo rimasto in secco l’Emissario per lo spazio di 14. anni, si continuò a fare delle Accolte di Molini da detto Emissario mantenute, tanti orti per il Cavolo, e tante Canapine.
È voce fra il volgo, e fra gli eruditi opinione, che l’Emissario o cunicolo, di cui si tratta, fosse secondo questi ultimi, opera, molto antica fondati sù certe espressioni di Strabone, per verità ambigue, e secondo gli altri in prima nominati, fosse un’opera di Braccio Fortebraccj famoso Avventuriere di Montone, allorché colla forza si rese padrone di Perugia nel principio del secolo decimoterzo. Il vero si è però, che ne fu l’Autore, o per meglio dire l’Architetto, ed Ingegnere un certo Sarelli, il quale per quella via pretese dar l’esito alle acque sovrabbondanti, e porre in un certo equilibrio le rimanenti. L’opera nacque per verità in secoli barbari, poiché dai rimasugli si vede ocularmente, che essa fu piuttosto abborrociata, che tirata a perfezione. Esiste essa nella Valle di S. Savino, e sotto un Collicello scorre in forma i Cunicolo alla profondità di cento piedi Perugini in punto, guarnito di undici Sfiatatoj, sgorgando nel piano della Maggione col nome di Anguillara, facendo agire colle sue acque cinque Molini a grano, con due Valchiere una dopo l’altra. La sua lunghezza è di Canne Romane 530. ovvero palmi Romani 5,300. eguali a piedi Parigini 3,643. 1/3 . Il primo terzo di questo Cunicolo è passabilmente costruito, largo fra li tre, e i quattro piedi Perugini, alto circa cinque, e sormontato di Volte; Il secondo terzo sembra piuttosto una tana di Granchio ricolma di andirivieni, e di stretti senza muri, ed in pochissimi luoghi guarnito di Volte; L’ultimo terzo è un alveo veramente meschino, il cui fondo finacheggiato da muri a sprone, e sormontato di volte non eccede il piede Perugino in larghezza.
Si vede, che nel lasso di poco più di tre secoli dalla sua origine, andò quest’opera talmente a soffrire, che dette luogo all’escrescenza del 1480. di cui esiste memoria nell’Archivio Comunale di Perugia, trovandosi sotto detto anno registrato (Volume 4°. Registro de’ Brevi pag. …) un Breve del Pontefice allora Regnante Innocenzo VIII, il quale fin da quell’epoca ordinò delle riparazioni all’Emissario per frenare in perpetuo, dice il Breve, le rovinose acque del lago, e restituire a quella amena Valle, colla sua fertilità, una perpetua sicurezza. L’altra più forte escrescenza, di cui ci resti memoria, quella si è avvenuta nel 1602. sotto il Pontificato di Clemente VIII.c Anche questo Pontefice, mosso dalli incalcolabili danni recati da quell’inondazione, fece riparare l’Emissario. L’ampollosa memoria di tale riparazioni trovasi in una marmorea iscrizione situata sulla parete esteriore del Casotto dell’Emissario verso il piano della Magione. Essa è del seguente tenore.
Seguitarono quindi le forti escrescenze, e ne accadde un’altra nel 1750. altra finalmente, di cui non mi ricordo nel 1762., che durò fino al 1773, nella quale rimasero allagate la Chiesa di S. Maria de’ Servi, e di S. Bernardino, e rovinarono quasi tutte le case dell’ala inferiore della strada Carriera in Passignano, ove si penetrava colle barche perfino nelle Piazze.
In tutte queste straordinarie escrescenze si è sempre procurato di ovviare ai danni incalcolabili, col riattare l’Emissario, volgarmente la Cava. Si sono spesi a più riprese immensi tesori, ma non si è pensato mai al fondamentale rimedio, quell’unico cioè di togliere le tortuosità, e le strettezze del Cunicolo. Veramente alcune volte essersi provato a raddrizare queste tortuosità, e si vede manifestamente, che circa ai due terzi del suo corso, si è tentato di tagliare, o forare un masso di pietra detta volgarmente Serena, ma gl’Ingegneri, e gli Architetti non ricordandosi, che
Gutta cavat lapidem, non bis sed saepe cadendo,
e che
Quod fieri ferro, validore potest electro
hanno ai primi colpi di Scalpello abbandonata l’impresa, ed hanno lasciate le vestigia di una patente poltroneria.
A casa de’ Maestri di color, che sanno, io non azzarderò consiglj, e molto meno precetti. Chi sà la manovra soltanto de’ Cottimi, e de’ Cottimandi ha bisogno di consiglj di economia, e sopra tutto quando si tratta di certi non volgari lavori. Mai dunque cottimi, proibiti assolutamente, affine di non dover più sentire colle proprie orecchie, che una perizia di ristauri innalzata dall’Ingegnere fino a mille scudi, era poi stata eseguita dal cottimante colla spesa di soli scudi settanata. Dunque in quella sola operazione rubbati furono 900. e piùscudi, e Dio sà da chi. Tutto ciò per modo di discorso. Vediamo ora quello, che si dovrebbe fare.
Aprire un poco per volta questo sotterraneo foro di una larghezza, atta a voltar materiali, pestar puzzolana, farvi la calce, in somma tutto ciò che può abbreviare l’operazione, senza essere obbligati a far molte cose di fuori, e trasportarle dentro o con cariole, taglie, e a braccia con enorme fatica. Indi si cominci dall’Emissario a costruirvi dei muri laterali alla larghezza di 8. palmi, sormontati di volte ben costruite. Alla metà si porti questa larghezza a nove palmi, e da capo ove entra l’acqua del Lago nel Cunicolo fino a dieci palmi, sempre fiancheggiata da muri, e sormontata di Volte. L’altezza di essi muri sia a proporzione di dieci palmi, di nove, di otto, dall’imposta delle Volte sino a terra. Se il richiedesee il bisogno, sia anche la platea ben lastricata.
Il livello di questa platea si prenda cinque palmi almeno sotto l’imposta della soglia dell’Emissario, e finisca con altri tre palmi almeno sotto la soglia del fine verso il piano della Magione. In questa guisa si avrà un Cunicolo comodo per esser di tratto in tratto visitato, senza quel disagio, e senza quella chimerica paura tanto calcolata dagli odierni Ingegneri, che forse non l’hanno mai visitato internamente, e sarà così finito il bisogno di spendervi a mano aperta, senza poter sapere cosa vi è stato fatto.
Sarebbe forse qui stata necessaria una figura rappresentante quanto ho fin qui avanzato, penso però di essere inteso, e la risparmio. Questo Cunicolo così ridotto, e munito delle solite Cateratte, e Portoni, sarebbe abilissimo a tener le acque del Lago in un perpetuo livello, e ad assicurare per sempre le sementi, e le raccolte di tanti Possidenti, e sventurati Agricoltori, che tempo fu già, aspettavano pieni di gioja, o di amarezza, secondo le occasioni di strabocchevoli, o moderate piogge. Questa verità sarà forse resa palpabile da quanto anderemo riflettendo in appresso.
Era stato creduto, che la profondità del Lago fosse sorprendente, e specialmente in alcuni determinati siti, come fra le due Isole maggiore, e minore, fra il monte del Lago, e Passignano. A smentire questa supposizione, io fui il primo che pendenti gli anni 1778. e 1779. scandagliai il Lago a più riprese, ed in più di 500. luoghi. Quantunque fosse anche allora il Lago in istato di escrescenza, trovai la sua profondità non eccedere i piedi 18. Perugini.d Il fu Capitano Signor Giuseppe Colonnesi, il quale non credeva sì poca profondità del Lago, ebbe la compiacenza di voler esser meco socio di un giro fatto a bella posta per il Lago, ed assistere ocularmente ai scandaglj, che vi feci.e In generale può osservarsi, che la sua profondità è maggiore in quella parte, che è più vicina a monti più alti, cioè dalla parte di Tramontana, e Greco, di quello sia dalla parte di mezzogiorno, e ciò sembra concordare con quanto dice il Sig. de Buffon che le vallate sono sempre più basse dalla parte dei monti più alti, di quello siano dalla parte de’ colli, o dei monti più bassi.f
Contro la comune opinione il fondo del Lago, incominciando anche dalle porzioni di lido il più sassoso, è stato da me trovato ricoperto di belletta,g e non è altrimenti vero, che dalla parte di Ponente si estenda la qualità arenosa del terreno del Marchesato di Castiglione molto indentro al Lago. Ragionando a tavolino, sarebbe facile tirarne la conseguenza. Osservando peraltro, che gli due grossi Influenti, il Paganico cioè, e la Pescia, seppelliscono continuamente nel seno del lago da quella parte il fiore del suolo del Marchesato di Castiglione, e che il basso fondo di quel littorale dà adito ad una prodigiosa moltiplicazione di Vegetabili palustri, de’ quali se ne infradeia in ogni anno centinaja di migliaja di piedi cubi, converrà credere, che anche da quella parte il fondo del Lago è uguale in qualità a tutto il rimanente.h
E qui cadrebbe in acconcio esaminare se tornasse conto di asciugar questo Lago, giacché vedesi evidentemente esservi una facile via di sgorgarne le acque, e di ridurlo ad una vasta, bella, e fertilissima pianura. Ma perché io toccherei un tasto troppo delicato, in vista di sapere, che a Perugia è ammirata più una libra di Lasca pesce vilissimo, che un Rubbio di Grano, e che un bel Luccio, ed una bella Regina che sorpassino il peso di 30 libre, vestono il carattere di una rarità degna di qualunque Gabinetto di Storia naturale, mi ridurrò a poche riflessioni, tralasciando il modo di esecuzione, per non essere oggetto da trattarne sù questo breve dettaglio.
Rende il Lago attualmente circa li 40000. Scudi annui, calcolato il valore della totalità del pesce, della Gabella, e dei Vegetabili palustri inservienti a più usi. Ponghiamo, che soli sei mila Rubbia di pianura potessero rendersi coltivabili dopo sgorgate le acque, inalveati gl’influenti, e condotte le strade di communicazione, e contiamone soli tre mila Rubbia annui fruttiferi, secondo il costume del Paese. Questi soli tre mila Rubbia potrebbero in una scarsa annata rendere almeno cento mila scudi in granaglie, ma in un’annata fertile potrebbero sorpassare facilmente cento cinquanta mila scudi. Dagli altri tre mila rubbia si potrebbero avere Formentoni, di cui si fa molto uso nel Paese, Fave, Fagiuoli, Foraggj per i Bestiami, così che col solo nudo terreno si avrebbe assai più che quintuplicata la rendita attuale del Lago. Non conto il Bestiame, ed i suoi preziosi prodotti; dico che in quella Valle egli sarebbe meglio che in qualunque altro luogo dell’Umbria, e del Perugino una sorgente inesauribile, di ricchezze.
Potrebbe per avventura dire qualcuno esser difficile il trovar tante braccia per coltivare questo terreno. Ma che l’Italia, e lo Stato Pontificio stesso è forse scarso di miserabili, e di scioperati? Centinaja, e centinaja d’Italiani coltivano ai dì nostri le sponde del Wolga, del Nieper, del Niester, in un clima niente conforme al dolce clima d’Italia, ed in un Paese già scorso da più, e più orde di Tartari. Perché dunque non se ne potrebbero tirare tanti, quanti ne abbisognassero in un Paese il più temperato, ed il più delizioso dell’Umbria? Di più, e che forse D’Olarida trasse tutte dal seno della Spagna le braccia per ridurre a cultura porzione della Selvaggia Sierra Morena?i Nò. Anzi fra gl’individui delle diverse Nazioni, che intervennero a quel lavoro, il minor numero fu quello della Spagna medesima.
Ma lasciamo l’Economico, e vediamo quel che può dirsi sull’economia animale. Certa cosa è, che I’Atmosfera che sovrasta al Lago non è pericolosa, come credevasi, per la salute degli abitanti. Essa non è altrimenti pregna di quel pernicioso gas idrogeno, che credevasi derivare dalla prodigiosa quantità di Vegetabili, che in ogni anno s’infradiciano nel suo Circondario. Le ostruzioni, che vi regnano in qualche anno, e le ostinate febbri terzane, e quartane, che ne sono le conseguenze, non sono che l’effetto delle annate piovose anche nell’Estate, capacissime di arrestare il traspiro, cha è la sorgente di questi mali, specialmente in luoghi di sua natura umidi, e di Atmosfera ristretta . Non è né anche vero, che i decrescimenti momentanei, che accadono quasi in ogni Estate, produchino delle esalazioni nocive, poiché ho fatta osservazione a varie annate, e specialmente al sorprendente, ed istantaneo decrescimento del 1792. ed ho notato, che dagli abitanti non fu risentito il menomo endemico accidente.l
È fuori di dubbio, che la profondità del Lago in paragone della sua estensione è molto piccola, e che la inconsiderata usanza di coltivare poco, e male il sempre inghiottito, e sempre minacciato terreno del piano, per mettere a leva il terreno de’ monti contigui, farà sì, che il fondo del Lago s’innalzerà a gran passi, che il piano finirà di essere inondato, e che col lasso del tempo dovrà divenire un pestifero, e micidiale pantano.m
Non è certamente per accadere in breve tempo questo fatele accidente, ma deve accadere, ed i nostri tardi nepoti vedranno aggiungersi alla Maremma Ecclesiastica un brano del Territorio Perugino.n
Il supposto é più che dimostrato. Tutti gl’infIuenti, che sono cinquanta, e più portano continuamente nel Lago delle Torbe. Non avendo sortita, esse Torbe rimaranno nel Lago. Sarà dunque verissimo, che il fondo si va continuamente rialzando.
L’alimento maggiore all’escrescenza del Lago vien dato da quelle acque pluviali, che vi cadono immediatamente, e dalle altre che cadendo ne’ monti che lo circondano, vi si diriggono, come si disse, per la via di più di cinquanta influenti fra piccoli, e grandi, i più considerabili de’ quali sono la Spina, il Paganico, l’Anguillara, il Bordellaccio, il Lombardo, i due Arginoni, detto l’uno il fosso del Tronco, e l’altro il fosso del Perna, il Monte Gieri, il Rio, la Navaccia, il Macerone. Non vi sono polle esteriori al piede de’ monti, e molto meno ve ne sono nascoste sotto le acque.o
Si gode nei contorni del Lago Trasimeno di un Clima molto dolce, e temperato più sensibile anche nelle Isole. Non ostante si è dato il caso più, e replicate volte che egli siasi interamente gelato, e che il gelo sia giunto ad una solidità sorprendente. Nel 1775. egli gelò interamente, come ancora nel 1789. Ma il gelo che si formò nel 1767. giunse alla solidità di un piede, ed un oncia, (circa 15. pollici Parigini) e durò per lo spazio di trentanove giorni, e trentanove notti continue. Allorché egli si ruppe si sentì per una giornata intiera il fragore, e lo strepito fino a quindici miglia lontano dalle sue sponde. Nonostante queste enormi gelate gli alberi de’ contorni non hanno mai risentito danno notabile, ed è sorprendente, che il Gelso pianta così delicata, e sensibile ai rigori del Verno, non abbia mai d’intorno al Lago sofferto alcun detrimento. E quanto alle piante di Olivi, delle quali all’intorno del Lago ve ne è quantità sorprendente, e di un volume rispettabile, pochissime sono state quelle che abbiano patito, e queste al ritorno di Primavera hanno ripreso il loro primiero vigore.
Quando il gelo è rotto o viene radunato dai venti alle rive, come accadde nel 1755. o pure và vagando a gran tavoloni per il Lago finché siasi liquefatto. In questo stato è cosa pericolosissima il navigare, mentre la così detta corrente trasporta questi immensi tavoloni con una velocità, e furia così granide, che essi fracasserebbero, e manderebbero a picco la più grande, più forte, e stabile barca del Lago al primo urto. Tale fu l’effetto, che provarono due pescatori di S. Feliciano, i quali volendo andare all’opposta riva per alcune loro faccende, uno di questi tavoloni gli troncò di netto la barca al primo urto. Uno di loro vi perì, l’altro fu balzato dall’urto sul tavolone medesimo, d’onde qualche ora dopo da sei altri coraggiosi pescatori staccati a bella posta fu ripreso, con gravissimo pericolo però di naufragare anch’essi.
Ed in proposito di correnti è da osservarsi, che nel Trasimeno esistono queste similissime alle marine, Egli è vero, che non sono simili alle correnti naturali, e generali, ma bensì accidentali, e particolari, ed è anche vero che non sono così sensibili, ma pure vestono il medesimo carattere. Esse sono incostanti, cioè ora diriggonsi in un senso, ora nell’altro, ed ora sono più forti, ed ora meno. Può dirsi in generale, che allorquando esse sono più forti, sono in certa maniera le foriere dei venti. Mi è stato fatto osservare, che si diriggono per lo più contro la parte donde deve sorgere il vento, e che dopo che questo ha preso piede, esse durano ancora in senso contrario al vento medesimo. I Pescatori in questo caso se ne avvedono, poiché invece che la barca sia spinta dal vento, ne è piuttosto attratta, lo che chiamano essi vi é corrente, il vento tira a se ec.
Siccome non sono a noi per anche note le cause delle correnti, necessario sarebbe, che alcun geniale si applicase a conscerle. Le osservazioni potrebbero farsi aggiatamente nell’estate, allorché‘ il Lago non è agitato da alcun vento. In quella stagione si percepiscono facilmente medianti le spume, ed i galleggiamenti, i quali si vedono correre ora in un senso, ora in un altro,p e specialmente in vicinanza del lido.
Il Trasimeno è soggetto, benché di rado, ad essere occupato dalle nebbie. Dalla parte de’ monti peraltro accade di rado che vi comparischino, ma si tengono dalla parte di Ponente, e Mezzogiorno, alimentate dai bassi fondi della vicina Val di Chiana. Non ostante in quelle rare volte, che rimane esso intieramente occupato, la nebbia vi fa un’ostinata permanenza. In simili casi i pescatori non azzardano molto di commettersi al pieno Lago, poiché si è dato il caso, che alcuni di loro si siano perduti di direzione, e non abbiano riguadagnato il lido, che a stento, ed a forza di suono di Campane.q
La fisica situazione del Trasimeno, che è quella di essere circondato da monti, e da alti colli da tre lati, fa sì che i venti v’infurino non quanti nei lunghi, e stretti Laghi della Lombardia, ma poco meno. Ho veduto le sue onde alzarsi fino a sei piedi, e specialmente verso quella parte, ove egli è un poco più profondo. Pio Secondo ne’ suoi Commentarj (lib. II. pag. 75) ed il Campano Monsig. Gianantonio Viperani le ha descritte con una estro Poetico così elegante, che merita che io ne riporti il passo.
At dum rex clauso ventos premit Æolus antro
Stant placidus, canumque comis caput exerit undis.
Sed dum ventorum furiis agitatur, et Euri
Horrescit tumidis Zephyrce Austrive procellis,
Aut fremit a Supera Boreas violentior Arce,
Tunc totus fundo, ut pelagus, turbatur ab imo,
Turbinibus indignans undique saevis…..
Jactari immeritos, et quae spiramina tentant
…..; haec cadem perfert Trasimenus et iras
Colligit, undarumque retorquet ad aethera montes.
I venti che regnano nel Lago non sono costanti, ma vi dominano a seconda che spirano nelle regioni vicine. Quelli che più v’infuriano sono la Tramontana, il Ponente, il Libeccio, l’Austro, e lo Scirocco con i loro laterali. La furia di Ponente rare volte è di lunga durata. Il più delle volte però i primi soffi, che sono violentissimi, formano una vera burrasca, la quale non manca di essere pericolosa. Dopo un quarto d’ora, o mezza o al più cessano i primi impeti, benché il vento seguiti, e duri le intere giornate, Anche il Maestro, e Maestro Tramontana sono burrascosi ma vi spirano rarissime volte, anzi scorrono gli anni senza che questi vi comparischino. I Pescatori chiamano i venti non col nome proprio, ma con nomi particolari, e sono i seguenti.
- Tramontana – Tramontana
- Greco Tramontana – Traversone
- Greco – Greco
- Greco Levante – Greco Levante
- Levante – Bojone
- Scirocco Levante – Bojoncello
- Scirocco – Sirocco
- Ostro Scirocco – Siroccale
- Ostro a Austro – Certano
- Ostro Libeccio – Certanello
- Libeccio – Bufolese
- Libeccio Ponente – Pelagajo
- Ponente – Fagogno, forse dal Latino Favonius
- Maestro Ponente – Fagognolo
- Maestro – Aquilone, dal Latino Aquilo
- Maestro Tramontana – Traversino
Questi venti, i quali non di rado increspano sulla superficie del Lago combinati colla poca profondità delle acque, mantengono queste in uno stato quando più, quando meno torbido a seconda della violenza, di cui si rivestono. Nel grande estate però, quando per molte giornate di seguito l’aria rimane tranquilla, vedonsi le sue acque chiare, le quali nulladimeno tendono ad un color verdastro, più tosto che cristallino.
Il nostro Lago ha sempre esistito? È forse uno dei Laghi primitivi, o pure si è formato da qualcuno degli accidenti, che hanno a più riprese sconvolta la superficie del nostro Pianeta la terra? Importerebbe il saperlo. Ma pochi sono i naturali avanzi, che noi abbiamo per provare, che egli siasi formato per opera del fuoco, o pure che sia un resto delle acque, le quali una volta vagarono, ove noi attualmente abitiamo. In tutto il suo Circondario non trovasi che una vena di Peperino fra la Pieve confini, ed il Borghetto, e sonovi inoltre delle Calcarie, e delle Focaje in abbondanza presso il Castello di S. Savino, ed inoltre una cava di Rapillo eccellente nel contiguo piano della Magione sotto la Petrella, cose tutte che proverebbero l’esistenza di questo Vulcano. Attesa però l’uguaglianza del suo fondo non si saprebbe indovinare, dove egli avesse il suo Cratere, se pure non volesse credersi, che egli esistesse in quella parte, ove è maggior profondità di acque, cioè fra il Monte del Lago, e l’lsola Maggiore, sito non ancora eguagliato dalle Torbe dei nominati Influenti. ll fu Sig. Canonico Pio Fantoni meco discorrendo sù di questo punto, fu di questa opinione. È vero che altri Laghi vi sono, i quali senza dubbio si formano sopra Vulcani già consunti, e poscia avvallatir, ma noi non abbiamo testimonianze naturali per assicurarcene. Taccio perciò su questo articolo, lasciando ad altr’occhio più perspicace, e più osservatore del mio la materia ad essere discussa.
Caderebbe ora in acconcio l’esaminare d’onde il nostro del Lago trasse il nome di Trasimeno. Ma perché ripescare sì fatte materie nelle oscurissime tenebre di una ben remota antichità? Pur non ostante mi giova quì di riportare il sentimento del Poeta Silio Italico, oltre un altro parere, il quale non mi sembra affatto lontano dal verisimile.
Dice egli pertanto, che poco dopo l’arrivo de’ Lidj in Italia la Ninfa Agilla invaghitasi alla follia di Trasimeno figlio di Tirreno Conduttore de’ Lidj, lo volle assolutamente disporre ad essere suo amante, ed ecco come egli poeticamente si esprimes
At parte e laeva restagnans gurgite vasto
Effigiem in pelagi lacus umectabat inerti,
Et late multo foedabat proxima limo:
Quae vada Faunigena regna antiquitus Auno
Nunc volvente die Thrasimeni nemina servant.
Lydius huic genitor, Tmoli decus; aequore longo
Meoniam quondam in Latias advexerat oras
Tyrrenus pubem dederatque vocabula terris.
Natum ad maiora fovebat.
Verum ardens puero, castumque exuta pudorem
(Nam forma certare Deis, Thrasimenne, valeres)
Litore correptum stagnis demisit Agillae,
Flore capi juvenum, primaevo lubrica mentem
Nympha, nec Idalia lenta incaluisse sagitta
Solliciti viridi poenitus fovere sub antro
Najades, amplexus undosaque regna trementem.
Huic dotale Lacus nomen, lateque hymenaeo
Conscia lascivo Thrasimenus dicitur, unda.
Da questi sventurati amori dunque iI nome di Trasimeno. Potrebbesi per altro, lasciate le idee Poetiche, venire ad un altro raziocinio. È cosa certa che i Tirreni non furono in sostanza, che porzione degli abitanti dell’antica Lidia, e forse quella porzione di Moabiti, che si salvarono nell’invasione di Giosuè, che di là si partirono spinti dall’indigenza, e che finalmente dopo lungo giro approdarono in Italia, si mescolassero con gli Umbri, e Tirreni abitatori allora delle nostre contradet. Questi dovettero portare dall’Asia il loro linguaggio, la loro maniera di scrivere, i loro costumi, ed usanze, e dovettero adattare ai luoghi di fresco occupatiu i nomi de’ luoghi da loro abbandonati. Non è dunque cosa fuor di proposito il credere, che al primo arrivo de’ Lidj avesse desunto il nome di Trasimeno. Di fatti nel Paese da loro, cioè nella Lidia, abbandonato eravi anche al dire di Vibio Sequestro un fiume, il quale chiamavi Trasimeno. (Vib. Sequest. ad Virgilium filium) fluminum, montinum lacuum, fontium, nomina quorum etc.
Questo Lago è molto abondante di Pesce. Se ne prende in ogni anno almeno un mlione di libre di diversa specie. Egli è sottoposto alla Gabella, che è tariffata secondo la qualità del Pesce, e secondo le stagioni.
Il Gambero comune Cammarus non è soggetto a Gabella. L’insolenza però ora sotto un pretesto, era sotto un’altro ne impedisce la pesca. Questo Gambero non è né marino, né fluviale. Esso è piccolissimo, e non è del genere dei Crostacei, ma é rivestito di una corteccia sottile cartillaginosa, che fritto è molto gustoso benché pungente al palato. La sua lunghezza non eccede il pollice.
Il pesce più abondante è la Lasca. Non ho trovato alcuno, non omesso LaCepedé, che ne abbia trattato, se pure non ne hanno parlato i Naturalisti Oltramontani sotto il nome di Vandoise. Se ne prende almeno più di cinquecento mila libre l’anno . Esso è piccolo, e di poco valore, e stima. Si pesca in diverse maniere, ma la pesca più abondante si fa nell’inverno nei così detti porti, i quali non sono che palizzate in doppio ordine, entro le quali si pongono delle frasche di Querce, ove si riduce la Lasca per mettersi al coperto del freddo. La sua lunghezza non oltrepassa li tre o quattro pollici. Il Sig. LaCepedé dice che giunge a sei decimetri, ma il vero è che la più lunga non oltrepassa i sei pollici.
Appresso la Lasca ne viene la Scarpata (pronunziata breve) che è quella stessa, che dai Francesi viene chiamata Boueuse. È un pesce vilissimo, e ambisce più tosto a luoghi paludosi e fangosi.
L’Albo in Latino Leuciscus paragonabile, e forse lo stesso, che la Lasca di Fiume. Non è buono se non se nel colmo dell’Inverno. In altri tempi è sciocco; Cesce fino alle cinque, e sei libre.
Fra i Pesci di buona qualità è la prima a riconoscersi la Tinca in Latino Tinca. Quantunque nei Laghi di Bolseno, e di Piè di Luco questo pesce ingrossa fino al peso di nove, e dieci libre, nel Trasimeno sono rarissime quelle di due libre. Si vuole, che l’introduzione della Regina ne abbia diminuita la specie.
La Regina non è pesce indigeno di questo Lago. Esso vi fu introdotto dal fu Barone Ancajani conduttore del Lago, e mio Nonno fu quello, che dal Lago di Bracciano (se non erro) ne portò ivi ventisei di numero nell’anno 1710. Questa memoria stampata era incollata in una chiudenda di credenza a muro nella camera, ove io nacqui. Il fu Sig. Filippo Travaglini Tesoriere dell’Umbria, Conduttore del Lago volle questa chiudenda, e la riportò seco a Spoleto. Questo pesce passa per eccellente, e specialmente quando è un poco grasso. Il migliore è però la femina, rimanendo al maschio la carne più fiacca, tigliosa, ed insipida. Il fu mio padre ne prese una in faccia al Monte del Lago di quaranta due libre, ed un’altra ne ammazzò ivi ugualmente di libre quaranta con una fucilata. Di questo peso non se ne sono più vedute che io sappia, ma di libre trentacinque, e trentasei sono ovvie. I Naturalisti hanno chiamata la Regina Carpa, e Carpena dal Francese Carpe.
Tutti i sopranominati Pesci, eccetto il Gambero, sono del genere de’ Ciprini.
Del genere degli Esoci vi è il Luccio, Lucius. Egli viene ad una sufficiente grossezza. Se ne è trovato del peso di trentasei libre. È pesce stimato, ma con perdono de’ suoi ammiratori, è di un gusto più gradevole quello del Lago di Bolseno.
Finalmente del genere delle Murene vi è l’Anguilla, la quale vi cresce fine alle dieci libre. La più stimata non deve oltrepassare le tre, e quattro libre, ve ne è di due specie; Quelle che hanno il dorso fino a quasi tutto il ventre di uno scuro color di fango non sono molto buone; quelle che hanno una sola striscia colore di fango sul dorso, ed il resto della corporatura bianco, sono delle migliori.
Tutto questo pesce è soggetto alla Gabella, nè alcuno può approfittarsene senza averla pagata. Il metodo rigido, col quale si procede contro i Contraventori ha mandato in rovina parecchie famiglie.
Del genere dei Crostacei non vi è nel Lago che il Granchio comune, e la Tellina detta dagl’Indigeni impropriamente Ostrica, la quale è ordinariamente della lunghezza di tre o quattro pollici, compresa la sua crosta. Questi due Crostacei non sono soggetti a Gabella.
Viene pescato dai Pescatori il Pesce in diverse maniere, con diverse reti, e fili, che da essi vengono promiscuamente chiamate Arti. Il primo metodo sono le file, che sono un migliajo più o meno di ami di Ottone appesi alla distanza di tre, o quattro piedi circa l’uno, il qual filo stende qualche volta fino a due miglia. Questo filo si stende la sera, e per ritrovarlo la mattina dopo, i pescatori lo fermano con un sasso che và al fondo del Lago, e con un sughero che resta a galla appeso a detto sasso. Indi prendono il Listro segnale per ritrovare il posto, ove hanno terminato di collocare le file. Questo Listro è la concorrenza di due linee, che passando sopra due punti visibili, vanno a riunirsi nel posto del sughero. Prendono per esempio, la Torre di Castiglione per un Campanile di Monte Pulciano da una parte, ed il Campanile di Isola Polvese per la Torre di Mont’Alera dall’altra. La concorrenza di questi due visuali è ciò, che si chiama Listro. La mattina di poi vanno ove si trova questa concordanza, e vi ritrovano appuntino il loro sughero. Gli ami sono imbeccolati con un Gambero pesce già nominato. L’uso di file è antico. Silio Italico lo riporta.
Assuetum Trasimene suos piscantibus hamis
Exhaurire Lacus, Patriaeque alimenta senectae
Ducere suspenso per stagna latentia filo.
I fili sono simili alle già descritte. S’imbeccolano gli ami con una piccola Lasca, e si stendono vicino alle rive del Lago, e servono per prendere le Anguille.
I Lucci si prendono coi Martavelli, che sono Tofi più grandi del solito. Questi Tofi sono una rete fatta a campana sostenuta da cerchietti di legno, da ciascun de’ quali parte internamente un altro piccol Tofo rivoltato, diremmo, verso il ceppo del gran Tofo, o della campana, e legato ivi con fili in maniera, che quando il pesce è entrato, resta serrato fra il grande ed il piccol Tofo, nè trova la via di uscirne. Per estrarlo si scioglie, e si rovescia il piccol Tofo. Di questi Tofi ve ne sono di più sorti. Gli uni si collocano lungo una steccaia di Cannucce, intersecata di tanto in tanto da caselle parimenti di canuucce, alla bocca delle quali si colloca il Tofo, e chiamasi Arella. Tanto la Steccaja, quanto la casella è confitta per lo dritto nella belletta dalla parte la più forte della cannuccia. Gli altri Tofi servono a prendere la Lasca nel folto dei Canneti, de’ quali abonda la così detta Valle di S. Savino, dove si pongono ordinariamente le Arelle. Si pongono ivi ancora i così detti Chiavaretti, che sono Arelle più corte.
Il Ghiacchio è una rete grande lunga almeno quattro in cinque piedi, e fatta egualmente a forma di campana. È guarnita da capo di un cerchietto di legno forte del diametro di tre o quattro pollici, e da piedi di una corda forte rivestita ad ogni maglia della rete di un cerchietto di piombo. Da questa corda di tratto in tratto partono dei fili, che poi uniti insieme vanno a riescire per il cerchietto di legno da capo chiamato la Galla. Con questa rete vi si prende la Lasca, ed i pescatori hanno una destrezza grande nello scagliarla, abbenché gli anelletti di piombo che la guarniscono da piedi, siano del peso di dodici a tredici libre. Scagliata che é, il piombo la tira a fondo facendo gran capanna, ed il pesce, che vi rimane sotto, vien preso tutto. Indi si tirano lentamente i nominati fili, che chiamansi Ramiglioni, i quali fanno roversciare la parte piombata verso la Galla, ed il pesce vi resta tutto. Indi si distende di nuovo la rete in una Cesta, ed il pesce é preso. Di questi Ghiacchi ve ne sono di più sorti, di piccola maglia cioè, di mezza maglia, di tutta maglia. I pescatori dicono macchia in vece di maglia. In estate è proibito quello di piccola maglia sotto pene rigorose.
Le Ciste, e le Albaje sono una specie di tramagli, che si tendono le prime ai Lucci in stradelli prattica fra i Canneti, fra quali si fa strepito per farli fuggire, ed incappar nella rete. Questa pesca vien chiamata la Cacciarella. Le altre si tendono in Lago aperto verso i Promontorj, e servono a prender glia Albi senza strepito.
Il Gorro è una gran rete, che si distende in questa maniera. Si stende prima una corda, o fune lunga un terzo di miglio circa dal lido in alto. Indi si distende la rete attaccata a detta fune rivolgendo a sinistra. La rete è ben lunga per occupare un terzo di miglio. Indi si attacca altra fune altrettanto lunga quanto la prima, e si ritorna al lido. Tre pescatori per parte tirano le funi, le quali obligano la rete a formare un semicircolo, e finalmente una forma di tasca. Giunta la rete vicina al lido, altri pescatori si alzano dal lido, e vanno in mezzo alla rete, la raccattano, e fanno dello strepito nell’acqua, affinché il pesce si riduca in una gran tasca componente il fondo, e fine della rete, ove si è ritirato tutto il pesce. Vi si prendono Lucci, e Regine. Nel mare Adriatico questa rete é chiamata Sciabica, benché tirata in diversa maniera, ed in alto mare.
L’ultima gran rete del Lago è la rete della Nave. È questa una, o due grandi ali di rete lunga sessanta, ed anche ottanta passi, alta almeno dieci, o dodici piedi. Si circonda con questa una delle sopranominate palizzate ripiene di frasche; indi si estraggono queste frasche in più barche, e si raccoglie quindi la rete a cuna roversciando il fondo verso la cima, facendo intanto qualche poco di strepito. Anche qui il pesce si raduna in una gran tasca, che si fa formare alla rete mentre si raccoglie. Da questa tasca si prende il pesce colle sopra nominate Casticciole. Io ho veduto a Passignano prendere da questa rete in una sola mezza giornata sedici mila libre di Lasca, che è il pesce contro cui si tende.
La legge, da cui sono desunti tutti i regolamenti civili, e criminali del Lago chiamasi la Cedola, detta comunemente la Cedola del Lago, o Cedola di San Pio Quinto. Quelli che pensano saviamente non credono, che questa Cedola sia veramente di San Pio Quinto.
Nei contorni del Lago non vi è cosa rimarcabile, se non se la feracità del suolo, e l’incredibile abbondanza dell’olio. Dotati di Olivi di grossa mole negli anni di raccolta doviziosa fanno agire almeno per sei mesi quarantanove macine. Si é dato ancora il caso, che quattro di queste macine frangevano le Olive vecchie in tempo, che si raccattavano le Olive nuove. Del Vino che é tutto bianco, a riserva di poca quantità, che é chiamato Vino scelto, ed é Canajolo Leatico ec. Si pesta, e s’imbotta senza fargli perdere la sua robustezza nei tini. Il più stimato, e veramente più buono é quello raccolto nelle elevazioni dalla parte de’ monti.
La celebrità di questo Lago non viene solamente dal pesce, e da suoi prodotti. Egli é ancor celebre per la disfatta de’ Romani presso le sue sponde. Sono infiniti gli Oltramontani, ed anche gl’italiani che passano ad osservare il posto, ove il General Cartaginese sconfisse il Console Flaminio. Quello che vi e di male, è che gl’indigeni opinano, che il posto preciso della sconfitta fosse il piano di Tuoro, e danno ad intendere ai forastieri, che questo fosse il sito preciso. Il falso supposto, ed il vero si ricava dai vocaboli del luogo medesimo. Sortito che uno é dal piano di Tuoro s’incontra poco dopo la posta della casa del piano il torrente Rio, passato il quale s’incontra immediatamente un distretto, che come conseguenza della fatal giornata, chiamasi ancora Valle Romana, ed il torrentello che la traversa Fosso di Valle Romana. Di qui il posto della sconfitta, di qui il Colle di Monte Gieti, dietro il quale furono postati i Baleari, e gli armati alla leggiera, di qui il Vico citato da Polibio, ove si rifugiarono i sei mila, che poterono rompere le file nemiche, al quale è rimasto ancora il nome di Pietramala, detto dal Volgo Pietramara, situato nelle alture del monte vicino, e varie altre cosette, che un’intendente dell’arte militare potrebbe facilmente rintracciare, e combinare colla storia. Di là ancora i cannucceti del vicino Lago, entro i quali i fuggitivi Romani furono trucidati non già a colpi di fucile, come dava ad intendere un erudito prete di quei contorni, ma a colpi di spada, e di giavellotti. Che tale fosse ancora l’antica tradizione lo dimostra la carta nominata dell’Autor Perugino, nella quale, non nel Piano di Tuoro, ma nel piano di Vernazzano pone iscritta la Rotta dei Romani. Di questa valle, se Dio mi darà vita, e salute, darò conto nella marcia di Annibale dal Fiume Rodano sino al Lago Pelestino, che più non esiste, nominato in oggi Piano del Casone a Levante di Colfiorito.
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Note:
a Questa posizione è stata tolta interamente dalla Carta dello Stato Pontificio del P. Boscovich; la longitudine è appoggiata alle osservazioni sul paessaggio di Mercurio del 1753. da cinque Astronomi in Roma, e dal P. Ximenes a Firenze. (Ximenes, vecchio, o nuovo Gnomone Fiorentino lib. IV. cap. IV. pag. 296.)
b Non v’è misura itueraria in Italia, che più si approssimi al minuto di grado, quanto il miglio Perugino, poiché di queste miglia non entrano in un grado più di 60. e circa 9. decimi. Per prova di ciò, un grado di Meridiano è stato valutato 57,060. Tese, costituenti 342,360. piedi Parigini, ovvero 492,998,400. parti dello stesso piede. (Le 57,060. Tese sono misura media, essendo questa più forte verso i Poli, e più breve verso l’Equatore.) Ora siccome il miglio Perugino è composto di 5000. piedi di Perugia, il qual piede è per l’appunto tredici pollici e mezzo Parigini, o 1,620. punti, lo che ritorna a 8,100,000. punti per ogni miglio, così e evidente, cha dividendo 492,998,400. per 8,100,000. ne verrà il quoziente di 60. 6,998,400/8,100,000. che ridotto a minor denominazione è eguale a 108./125. si potrà enunciare 60. miglia per ogni grado, con di più di un rotte di 108./125. che può valutarsi approssimativamente a nove decimi. Da questo risultano si viene in cognizione della svista accaduta al celebre P. Boscovich nell’avvisarsi, che de’ migli Perugini ne entrino in un grado 76. ed un quarto. Vedasi la sua carta dello Stato Pontificio alle scale. Quandoque bonus dormitat Homerus. Dovendo io da qui in avanti nominare il miglio, avviso, che debba intendersi del miglio Perugino.
c In una piccola carta del Territorio Perugino inserita in una gran carta Scenografica della Città di Perugia vedesi il Circondario del Lago guarnito di una doppia linea. L’interiore indica lo stato ordinario del Lago, l’esteriore indica l’escrescenza del 1602. In Passignano in un angolo di casa appartenente al Marchese Florenzi, e sottoposta alla casa Parrochhiale lungo la strada Maestra evvi incassato un mattone all’altezza di cinque piedi sopra il livello della strada circa otto sopra il livello del Lago portante la seguente iscrizione. Hic Lacus fuit anno 1602.
d Diciotto piedi Perugini equivagliono a 20. 1/4 piedi di Parigi, a palmi 29. e 450/990 Romani, e a piedi 21. 789/1351 di Londra. L’attuale profondità maggiore dell’acqua non eccede li 15 piedi.
e Nell’annessa carta del Lago ho disegnato le diverse vie da me tenute nel fare questi scandaglj. Vi ho notati nei siti precisi la profondità in numeri esprimenti i piedi, omettendo i scandaglj intermedj, i quali non sarebbero stati, che una ripetizione delle medesime profondità già segnate.
f De Buffon histoire naturelle, Theorie de la terre. art, Fleuves.
g L’arena che si trova nel Marchesato di Castiglione, specialmente ne’ Comunelli di S. Fatucchio, e della Panicajola è perfettamente vetrificabile. I Vetrai di Nocera, e del Piegajo ne aggiungono un terzo alle loro fritte, e ne fanno il vetro da fiaschi, che non è dell’inferior qualità. Ne faceva radunanta una volta il Sig. Alessandro Rambaldi, che poi vendeva alle sopramentovate Vetriere. Anche la già estinta Vetriera da fenestre di Camporeggiano nel Territorio dl Gubbio ne faceva uso con profitto; meschiandone il terzo ad altro terzo di Soda, ed altro di Vetraccio, coll’aggiunta di una non sò qual porzione di Manganese di Piemonte.
h Il fin quì detto in supposizione è peraltro incontrastabile, poiché in verità anche dalla parte del Littorale del Marchesato di Castiglione, ove la vicinanza di un terreno arenoso, e sterile ne ha fatto supporre una continuazione per un gran tratto dentro le acque, il fondo di esse è munito di una belletta tale, che potendone avere, e trasportare nelle vicine sabbiose pianure senza gran spesa, ed incomodo, servirebbe a quei sterili terreni di un ingrasso assai migliore del Concio comune. Ma l’inquilino non l’intende, e dice: Video meliora proboque= Deteriora sequor.
i D. Paolo D’Olarida è soggetto ben noto nella Storia attuale della Spagna, tanto per la sua prospera, quanto per la sua avversa fortuna; Chi ne desiderasse più minute notizie veda l’opera, Voyage en Espagne par un Anonyme. Vol: 3. e Mentelle Geographie moderne de l’Espagne. Quanti sventurati sono stati colti dai colpi di avversa fortuna vibrati dalla violenza mossa dall’impostura, dall’ignoranza, e dalla superstizione!
l Nell’anno 1792. stette cinque mesi a non piovere. Si godé sempre un cielo sereno, e tranquillo. ll Lago decrescé tanto, che il pelo dell’acqua si abbassò fino a quattro piedi. Gli abitanti non risentirono il minimo dolor di testa. Ma negli anni posteriori, nei quali tornarono le piogge estive, tornarono altresì le solite febri.
m Se qualche diligente osservatore si dasse il pensiero di esaminare ogni anno nel sito medesimo la profondità dell’acqua riportata ad un dato segnale, dopo un trentennio almeno egli verrebbe a capo di conoscere l’innalzamento del fondo del Lago, e di sapere quando il Trasimeno sarà divenuto Palude. Ma che? Non dovrebbe interessare un Governo l’ordinare queste antivedute osservazioni? Io avevo posto il mio segnale nel 1778. Ma io avevo fatto una cosa utile, ed altri si adoperò di precipitarne la buona intenzione. Gli esperimenti miei dovettero cessare, senza la speranza di poterli più riassumere.
n Si vede, che alcuni di quei Signori Perugini, li quali godono intorno al Lago delle belle, e vistose possessioni, non si danno molto pensiero per il ben essere della loro posterità. Se ciò fosse, eglino avrebbero pensato meglio, e non avrebbero trattato da pazzo quello, al quale venne in pensiero di progettare il disseccamento del Trasimeno. Ah! quanto è vero quel detto: Nemo propheta in Patria sua.
o Sarebbe molto utile avere sotto gli occhj l’esperienze, ed i calcoli del P. Castelli fatte sul crescimento delle acque, o sia del pelo delle acque del Lago, a volersi persuadere che egli non è animato da polle subacquee, ed invisibili, ma bensì dalle sole acque pluviali. Basterebbe ancora dare un’occhiata alla fisica costituzione de’ monti, che lo circondano; Essi sono di tal maniera carichi di spessi rivoli, che non gli è possibile per così dire di assorbire una gocciola di acqua in tempo di piogge, che anzi tutta la tramandano al Lago per via degli influenti. Ora una fisica costituzione di tal natura non ammettendo penetrazione di acque pluviali, non suppone neppure le polle alle radici de’ monti. Per convincersi ancora, che le polle non sono che alle falde de’ monti ghiajosi, che assorbono le acque pluviali, e non altrove, basta fare osservazione al Monte Pitino, o sia Montagna di Trevi. Esso nella sua gran vastità non tramanda al piano il minimo Torrentuzzo, ma tutti i torrenti, che sono nelle sue vaste valli superiori alla base, vengono assorbiti dalla terra. Di quì le sorprendenti vene di Camero; di quì le più sorprendenti ancora di Pissignano, che sono le fonti del famoso Clitunno. Un monte di tal natura è il Perugino monte Tezio. Egli assorbe quantità di acque pluviali, e le tramanda a Levante dalla parte di Valenzino, ed a Ponente per una polla vicina a Petroja. La Nera stessa non é che un aggregato di sorgenti, che scaturiscono dal vicino Appennino, e dai monti laterali. Sotto Norcia, e sotto Visso vi sono delle portentose sorgenti, e più avanti la Falcignana, la vena di Monte Fiorello. Cosi il Monte di Chambrières, d’onde sorte la famosa Fontana detta delle Sorgues, vicina alla notissima Vallelusa. Le aride montagne della Dalmazia sovrastanti alla famosa Caverna, d’onde sorge la Kerka etc.
p M. d’Alembert (Dictionnaire des Matematiques de l’Encyclopedie Metodique) all’art. Courant pag. 448. dopo aver detto molto in proposito di correnti, nulla ci conclude intorno alle cause. Monsieur de Buffon (Teoria della terra, art. correnti) suppone che alcune procedono dall’ineguaglianza del fondo del mare. Ciò per altro non è combinabile col Lago Trasimeno, poiché egli ha un fondo eguale, e quasi orizzontale. Il medesimo ne ripete alcune altre dal flusso, e riflusso modificato dalle inegunglienze suddette, ma neppur questa opinione è combinabile col nostro Lago, mentre egli manca interamente di flusso, e riflusso. Io opinerei, che esse fossero cagionate dal moto della terra combinato coll’azione del Sole, e delle Luna. Me questa opinione andrebbe consolidata, o smentite colle osservazioni, e riflessioni. Quis est hic.
q Bartolomeo Lugli fu mio avo materno volendo tragittare dal Monte del Lago a Castiglione per affari relativi al suo impegno, fu assediato dalla Nebbia in alto Lago. Egli vi si perdé, e non giovarono gli sforzi, o tentativi per uscirne, onde convenne che vi rimanesse, e vi vagasse per due giorni, due notti continue. Mancava unitamente al suo compagno di commestibili, per il che convenne dalla fame a ingojarsi tutti i bottoni dell’abito (memoria trovata fra le sue carte). Vi è tradizione che altri abbiano mangiato il pesce crudo in simili quanto volute, altrettanto disgraziate circostanze. Il fu mio padre in tempo che era Ministro al Monte del Lago, e che non mancava di cognizioni, fu il primo ad impiegar la Bussola. Nel tempo che io dimorava nei contorni del Lago mi ricordo che si doveva una mattina andare da S. Feliciano all’Isola Polvese. Eravamo sei Preti, ed un Pescatore che remava. La nebbia era foltissima. Si voleva ricorrere alla solita Bussola del suono delle Campane. lo non volli assolutamente, ma accomodai la mia Bussola sulla poppa, o la prora della barca, e feci prendere la direzione, avvisando di tanto in tanto il Parroco dell’Isola, che era il timoniere, a sorgere, o a tenere secondo le occorrenze. (Sorgere significa voltar la barca a destra, tenere vuol dire voltarla a sinistra.) I Preti se ne persuasero dopo qualche timore, ma non cessò la paura del pescatore, se non quando si avvidde di noi aver guadagnato il posto, dove dovevamo sbarcare. Il dopo pranzo al ritorno, siccome il mio timoniere era un poco più allegro del solito, dopo scorsa la metà della strada cominciò a vagare a suo modo ad onta dei miei suggerimenti. Si udirono contemporaneamente delle alte voci da quattro barche che chiedevano suono di campane. Io dissi allora al mio timoniere, noi sbarcheremo al Podere se non tenete. Un momento dopo fu sonata la campana di S. Feliciano, e noi eravamo realmente nel sito da me accennato. Alcuni s’invogliarono d’imparare ad adoprar la Bussola. Ma io partii di là. Cessò pertanto il desiderio di apprende l’uso della Bussola, e dura ancora la Bussola delle campane.
r Il Lago Bolseno ne è incontrastabilmente uno.
s Silius Italicus de Bello Punico Secundo Lib. V. sub initio.
t Herodot. Lib I.
u Gl’Inglesi, gli Olandesi, i Francesi, i Spagnuoli ec. hanno fatta la stessa cosa nelle porzioni delle altre tre parti del mondo da loro occupate, Perché non poterono farlo i Lidj? Gli uomini sono stati sempre gl’istessi.
Bartolomeo Borghi nacque il 5 settembre 1750 a Zocco nei pressi di Monte del Lago. Fu ordinato sacerdote nel 1774, svolse il suo incarico a Monte del Lago, poi a Magione e quindi a Sorbello (Cortona).
Studioso di geografia, analizzò i territori a lui più familiari: Scrisse la Descrizione geografica, fisica e naturale del Lago Trasimeno (stampata postuma nel 1821); nel 1791 pubblicò una Dissertazione sopra l’antica geografia dell’Etruria, Umbria e Piceno.
Fu nominato membro delle Accademie Cortonese e Reale di Firenze. Pietro Leopoldo lo incaricò di delineare la carta del catasto pubblico di Cortona e del contado di Castiglione.
In una seconda fase gli orizzonti geografici della sua attività si allargarono, ne sono prova l’Atlante Novissimo (Venezia 1779-1785) e l’Atlante geografico (Siena 1798-1800).
La sua opera più importante resta l’Atlante generale dell’ab. Bartolommeo Borghi, pubblicato a Firenze nel 1819.
Morì a Firenze il 4 maggio 1821.
Grazie a Ermanno Gambini senza il quale non saremmo riusciti a recuperare l’immagine della carta del lago Trasimeno dell’abate Bartolomeo Borghi e non saremmo stati in grado di individuare l’epoca in cui il testo fu scritto.