15 Mar Il barchino di Fucecchio e le barche tradizionali dell’Arno
di Marco Bonino
Quando mi sono recato sul Padule di Fucecchio per esaminare i barchìni stavo preparando una relazione che nel giro di un mese avrei presentato al Convegno dell’Atlante Linguistico dei Laghi Italiani a Cerreto Guidi. I tempi erano piuttosto stretti e la cosa mi dava un po’ di disagio: avrei trovato materiale sufficiente? vi sarebbero stati ancora esemplari da esaminare? Ma poi pensavo che in fondo le ricerche in Toscana mi avevano sempre dato soddisfazione: nel 1976 con i navicelli, nel 1982 e poi nel 1985 con la navi arcaiche ed etrusche; ho visto scomparire con preoccupante rapidità la nave di Rovezzano o quel navicello che fino al 1980 vidi vicino al Ponte Vecchio a Firenze e questo non era una buona premessa, ma forse anche questa volta quell’ambiente straordinario mi avrebbe potuto fornire motivi di ricerca interessanti. E così fu, grazie all’aiuto prestatomi dai colleghi dell’Atlante Linguistico ed alla disponibilità delle persone intervistate ad Anchione e ad Empoli 1.
– Figura a. Distribuzione dei barchìni nelle tradizioni toscane. 1) alto e medio Arno; 2) dalla veduta della Catena di Firenze 1470; 3) barchìno della zona di Empoli; 4) tipo tra Pontedera e Pisa.
Nelle zone lacustri interne e costiere della Toscana che gravitano attorno ai bacini dell’Arno e del Serchio si è sviluppato un tipo semplice d’imbarcazione tradizionale: il barchino, che, pur con alcune varianti locali, mostra concetti di forma e di metodo di costruzione simili. Così lo troviamo sui paduli di Fucecchio e di Bientina, sui Lago di Massaciuccoli, tra gli stagni e canali tra la foce del Serchio e Livorno e su lunghi tratti dei fiumi principali. Nelle zone maremmane il barchìno è un po’ diverso e si fonde in alcuni casi con la bufala della Maremma meridionale e laziale, mentre ad Orbetello troviamo un altro barchìno con forme più adattate a quell’ambiente lagunare. Questa molteplicità è dipesa dalla natura degli specchi e dei corsi d’acqua su cui questa barca era usata ed anche dalle attività a cui era adibita: caccia, pesca, raccolta di materiali palustri, piccoli trasporti di persone e di cose, come si sono sviluppate ed evolute nel corso dei secoli, in un ambiente che si è conservato abbastanza integro fino alla metà del XVIII secolo. In quell’epoca fu iniziato il prosciugamento definitivo del Padule di Fucecchio, che terminò tra la fine del secolo scorso e l’inizio dei nostro, quando scomparvero anche il Lago di Bientina e gli Stagni di Livorno; solo nel Lago di Massaciuccoli rimase il ricordo della situazione idrologica dei secoli precedenti.
Accanto all’attività locale espletata con i barchìni, vi era quella legata ai trasporti che si svolgevano lungo i canali navigabili ed i fiumi. I nostri laghi e paduli erano attraversati e lambiti da canali navigabili che conducevano ai collettori ed agli emissari che sfociavano in Arno o nel mare. Per il Padule di Fucecchio, oltre ad un Fosso dei navicelli ricordato in una carta del 1768 e poi dimenticato, vi sono i Canali del Terzo, Maestro e del Capannone, che nel secolo scorso erano classificati di seconda categoria e che sfociano nell’Usciana, classificato di prima categoria. Lungo questi canali vi erano i porti (dei Morelli, di Burello, di Cavallaia lungo il Canale Maestro e delle Morette lungo l’Usciana), di cui è utile riportare una descrizione del 1889 pubblicata dalla Commissione del Consorzio degli Emissari del Padule di Fucecchio:
I così detti porti non erano che fossi destinati o alla riunione dei pescatori o a dar modo ai navicelli ed alle barche di sbarcare le merci e le persone nei punti dove le strade erano scoperte dalle acque, le quali crescevano e calavano secondo le piogge. Tali fossi o porti furono consegnati alle rispettive comunità, ma di poi ne furono soppressi parecchi: Nella comunità di Fucecchio esistono sempre quelli di Burello e di Cavallaia, dove sono le barche traiettizie postevi da privati. 2
Situazioni analoghe esistevano a Bientina, Massaciuccoli e sugli stagni tra Pisa e Livorno, con traffici maggiori o minori a seconda delle località. Usciti dagli emissari (Usciana, Serezza, Burlamacca e fossi attorno al Canale dei Navicelli di Livorno) iniziava la navigazione fluviale, o ci si immetteva direttamente nei porti di Viareggio o di Livorno. Queste diverse esigenze di navigazione hanno portato ad una specializzazione delle imbarcazioni, che in tempi recenti, almeno da due secoli in qua, possono essere classificate nel modo seguente 3.
Barchino, barchina
Piccola barca a fondo piatto, poppa a specchio e fiancate basse e dritte, capace di portare 2 o 3 persone od un carico non superiore ai 2 quintali e mezzo; era mossa con una stanga di spinta o da due remi (Fig. a, c, f, g, h, i, l).
Nave
Barca a fondo piatto e molto larga, con estremità rilevate e tronche, adattata alle funzioni di traghetto (Fig. b); era presente nei tratti dei fiumi da traghettare; molti di quei luoghi sono ricordati oggi dalla toponomastica con il nome di Nave (Nave a Brozzi, Nave a Rovezzano); lo stesso tipo di imbarcazione nella Toscana meridionale ed in Umbria era chiamata barca e barcaccia, mentre in Lazio ed in Campania si chiamava scafa. La Barca di Lucca era invece un traghetto fatto con un barchétto.
– Figura b. Nave da traghetto e particolare delle strutture.
Navicello
Era la barca da trasporto media e grande, con poche varianti per le diverse attività (vi era il navicello da renaioli, quello da legna, ecc.) o le vie d’acqua percorse. Aveva fondo piatto, fiancate tonde, estremità piuttosto alte, un gran timone, albero con vela tarchia e polaccone, due remi ed una stanga per spingerlo. Il navicello ebbe in età recenti forme piuttosto uniformi lungo il corso navigabile dell’Arno, cioè a valle di Arezzo, e le vie d’acqua tra la Versilia e Livorno (Fig. m). Il centro di costruzione fu Limite sull’Arno, da cui si muovevano anche calafati itineranti per le manutenzioni 4.
– Figura m. Navicello tradizionale dell’Arno.
Barchétto
Era un piccolo navicèllo, lungo dai 7 ai 10 m al massimo, con la prua più sottile, due remi, un timone, un alberetto per la vela tarchia o per l’alaggio ed una stanga per la spinta (Fig. d).
In passato si sono usate zattere, oltre ai foderi che servivano per fluitare il legname (Fig. e), per esempio dal Casentino, o dai boschi soprastanti il Valdarno medio-inferiore, e che veniva recuperato nelle pescaie fiorentine o lungo l’ansa di Limite 5, ma sono state dimenticate dalla tradizione.
– Figura e. Zattere e fodero di legname (*).
In tempi più remoti sono stati impiegati anche altri tipi di imbarcazioni. I burchi sono ricordati da Dante (Inf. XVII, 21-22), ne abbiamo rare raffigurazioni dei Trecento (Nardo di Cione in S. Maria Novella) e del Quattrocento 6 ed il ricordo nel nome della località Burchio poco a valle di Incisa. Mulini galleggianti erano usati sull’Arno a Firenze prima dell’alluvione del 1348 7; poi, tra il Settecento e l’Ottocento, troviamo un becolino anch’esso scomparso a causa delle mutate condizioni della economia delle acque.
Dunque l’imbarcazione tipica del Padule di Fucecchio è il barchino 8. Di questo si riconoscono due varianti: il tipo ora più diffuso di forma molto lanceolata, lo specchio di poppa molto inclinato (Fig. f) e quello più arcaico con lo specchio rettangolare più largo, il dritto di prua meno inclinato, forme più tendenti al rettangolare e tavole del fondo racchiuse da quelle delle fiancate (Fig. g). Anche sul Lago di Massaciuccoli si trovano queste due varietà (Fig. c e l), con un certo travaso di forme tra di loro.
– Figura f. Barchino tradizionale del Padule di Fucecchio, tipo più recente.
Il barchìno viene costruito nel modo seguente: si predispone una tavola longitudinale della stessa lunghezza della barca e con la curvatura voluta del fondo, su di essa vengono inchiodati trasversalmente i matèi in modo da tenerli verso l’alto (cioè a barca capovolta), se ne regola la lunghezza e li si completano con la loro parte verticale. Poi vengono inchiodate le sponde, insieme alla punta interna (dritto di prua) ed alla culàtta (specchio di poppa); fatto questo si riveste il fondo, lasciandolo sporgere di poco meno di un centimetro da sotto le sponde e la culatta. Il fondo è fatto normalmente da due tavole non sempre regolari ed in questa fase vengono tolti i chiodi che originariamente fissavano i matèi alla tavola longitudinale interna, che ora viene staccata. Fatto questo, si inchioda la punta esterna, su cui si appoggiano le fiancate ed il fondo; poi si rovescia il barchìno e si inchioda la pontigiàna (mezzo ponte di prua), il culaccìno (sedile di poppa), il barganèllo per sostenere la panca mobile e poi il sostegno per il fucile. A questo punto il barchìno è finito e manca solo la calafatatura con stoppa e pece, o soltanto una mano di pece dentro e fuori.
– Figura g. Barchino tradizionale del Padule di Fucecchio, tipo più arcaico.
Le tavole delle sponde e del fondo sono di pino e vengono piegate aiutandosi con il fuoco di fascine, i matèi possono essere di pino, ma è preferibile il gelso, che è più robusto. La pontigiana è fatta spesso con tavole trasversali inchiodate sulla sponda, con un listello rilevato; in altri casi queste tavole sono longitudinali ed inchiodate all’interno della parte superiore delle sponde. Ora si usano chiodi zincati di produzione industriale, ma fino a pochi anni dopo l’ultima guerra venivano usati chiodi forgiati a sezione quadrata prodotti a mano nelle botteghe di Empoli.
Il costruttore realizzava il barchìno avendo in mente i criteri seguenti per definirne le caratteristiche: lunghezza e larghezza del fondo, numero di matèi, l’alzata delle estremità, la curvatura longitudinale dei fondo, la svasatura delle fiancate e l’inclinazione della punta e della culàtta. Egli definisce la grandezza del barchìno con le espressioni: barchìno da sei matèi o barchìna da otto; il sistema metrico decimale entrò nell’uso solo dopo la prima guerra mondiale, ma ancora qualche decennio fa si parlava di braccia (0,58 m), palmi e dita.
Il risultato di questa costruzione è una barca leggerissima e ben manovrabile con il forcìno.
Se ne costruisce anche una versione di dimensioni leggermente maggiori che si chiama barchìna (Fig. b, scheda 2); è interessante notare come anche sul Padule di Fucecchio e nell’area tradizionale circostante il corrispondente femminile indichi una barca di dimensioni maggiori, più adatta al carico. Anche in altre tradizioni si trovano coppie di nomi maschili e femminili e la scelta dei genere è piuttosto caratteristica, un po’ maschilista, come ad esempio lungo il medio corso del Po:
- batlèn – batlèna
- magàn – magàna
- burcèl – burcèla.
Ma esempi simili si possono trovare anche nella tradizione veneta.
Anche in questi casi il maschile si riferisce ad un’imbarcazione piccola, spesso da passeggeri, mentre il femminile definisce una barca grande, da carico e non aggraziata.
Tornando al nostro Padule di Fucecchio, a S. Maria a Monte si costruisce ancora il barchìno più arcaico, con un modo diverso di montare il fondo: lo si esegue prima dell’applicazione delle fiancate, cosicché alla fine viene racchiuso da queste e non sporge da sotto, come avveniva invece nel primo caso. Questo particolare è confrontabile direttamente con le costruzioni derivate dalle zattere, come la maggior parte delle barche a fondo piatto usate nell’Italia centrale 8. Fotografie dei primo Novecento mostrano sul Lago di Sibolla ed a Ponte a Cappiano barchìni con la culàtta più larga, i fianchi poco svasati e la punta meno inclinata 9: si tratta appunto della forma vista a S. Maria in Monte.
– Figura l. Barchino del lago di Massaciuccoli, tipo più arcaico.
Anche sul Lago di Massaciuccoli era presente il barchìno di forma più arcaica 10, come mostrato dalle Fig. c, l; oltre alla propulsione con il forcìno, con la stanga ed i remi, a Massaciuccoli si è usato un albero corto con una vela tarchia, di evidente derivazione marittima o dai tipi più evoluti dell’Arno. L’esemplare della Fig. c mostra altri apporti dalla navigazione dell’Arno e, alla lontana, di derivazione marittima: il barganèllo completo, la coperta a prua, con il trastùccio ed il pagliolato (ponticèllo). La posizione delle tavole del fondo e delle fiancate aveva lo stesso rapporto che abbiamo notato sul Padule di Fucecchio: esterna per il tipo più evoluto ed interna per quello più arcaico (Fig. c). In quest’ultimo si trovano altri ricordi delle zattere originarie: i matìli sono raccolti, in alcuni esemplari, nella parte centrale dello scafo, quella che in origine era costruita come una zattera, attorno a cui si costruiva l’intera barca.
– Figura c. Barchìno del Lago di Massaciuccoli, tipo più evoluto.
Un tipo intermedio, dal punto di vista strutturale, ma più sviluppato in lunghezza, a causa dell’ambiente fluviale, si trova a Pontedera 11, mentre sul medio ed alto corso dell’Arno si trovano forme analoghe a quella più arcaica di Fucecchio, con le sponde leggermente più alte (Fig. a). Fin qui i confronti con i barchìni toscani appartenenti alla stessa famiglia, ma per apprezzarne meglio la natura è necessario estendere l’orizzonte alla laguna di Orbetello ed agli stagni costieri maremmani, ove le forme sono un po’ diverse. Ad Orbetello 12 si usa un barchìno più pesante del nostro di Fucecchio: ha forme tendenti al quadrangolare, è attrezzato con un buttafuori per manovrare i lunghi remi (trigantìno) ed ha una vela latina un po’ semplificata (Fig. h). Sugli stagni costieri (dal Tombolo dell’Arno, a quello dell’Ombrone, fino al Burano) vi è una forma simile e spesso ancor più tendente al rettangolare, con le sponde più alte e manovrata con la stanga ed il forcìno; la loro struttura è semplificata al massimo.
– Figura h. Barchino di Orbetello.
Tornando al nostro barchìno di Fucecchio, alla luce dei confronti visti prima, la sua forma più recente ne fa certo il più perfezionato della famiglia dei barchìni toscani, ma non mancano ricordi circostanziati dei caratteri arcaici originari: ad esempio il primo matéro di poppa è sensibilmente spostato verso il centro e questa discontinuità ricorda la lontana origine dalle zattere: in quel punto non occorreva mettere una struttura trasversale, data la presenza dello spigolo; l’eccessiva distanza del primo matéro è solo in parte compensata dalla presenza del culaccìno inferiore.
In questa sua forma così raffinata, la sua leggerezza e manovrabilità sono tali da reggere il confronto con imbarcazioni appartenenti a civiltà delle acque ben più articolate, come ad esempio i battèlli delle Valli di Comacchio. Analogamente a questi, che peraltro appartengono a tradizioni costruttive molto diverse 13, per mantenere le commessure in pressione vengono immersi completamente sott’acqua, finché la stagione non è ancora calda; quando l’acqua del padule è relativamente calda, il barchìno viene tirato in secco per evitare che l’eccessiva umidità, ad alta temperatura, ne faciliti il decadimento.
Ogni uno o due anni è necessario comunque calafatare le commessure e rifare il rivestimento di pece; data la leggerezza del materiale, spesso è necessario sostituire parte del fasciame ed anche dei matèi.
– Barchini del Padule di Fucecchio del tipo piu recente. Foto sx di Marco B e dx di Marco B via Panoramio.
Il barchìno, come risulta anche da molti documenti scritti sia di Fucecchio che di Bientina 14, è ed era utilizzato per la caccia, la pesca, il trasporto delle persone e la raccolta dei materiali palustri e per queste attività ha attrezzature apposite, come lo scomparto di poppa per tenere i pesci in acqua od il gancio a prua per il fucile. Quando dovevano stare a bordo più di due persone, si appoggiava una tavola trasversalmente al bordo a mo’ di panca. Una catena sotto la pontigiàna serve per ormeggiare il barchìno ad un palo ed assicurare anche il forcìno chiudendolo con un lucchetto.
Il substrato arcaico ricordato per la famiglia dei barchìni tra l’Arno e Massaciuccoli ha influenzato anche alcune caratteristiche delle barche dell’Arno: un barchétto costruito a Limite circa 80 anni fa ha i matìli e la culàtta tipici del barchìno, ma le dimensioni e le caratteristiche generali di quest’imbarcazione sono della famiglia dei navicèlli. Vi è stato quindi un travaso di tecniche tra i due filoni costruttivi, che tuttavia appaiono abbastanza separati, come verrà confermato dall’indagine linguistica. Le navi da traghetto invece mantenevano un carattere arcaico ancor maggiore di quello dei barchìni, perché la struttura interna orizzontale era solo giustapposta a quella verticale, senza un vero coordinamento, come se le due parti fossero indipendenti l’una dall’altra, e concettualmente lo erano (Fig. b).
Un breve cenno storico sull’evoluzione delle barche dell’Arno consentirà di ricercare le origini della nostra imbarcazione e di introdurre l’analisi linguistica dei termini tipici del barchìno di Fucecchio, in confronto con le barche tradizionali dell’Arno.
Barche a fondo piatto sono note sul litorale tirrenico fin dall’età villanoviana ed appaiono già molto progredite tecnicamente 15, avevano forma lanceolata ed estremità simmetriche, spesso con sporgenze simili a quelle delle speronare, per poterle sollevare. La loro origine è da collocarsi tra il fiume e le lagune costiere, luoghi privilegiati d’approdo in età etrusca 16. Dell’età romana abbiamo una figura schematica su di un marmo al Museo Archeologico di Arezzo e la scultura del Battistero di Firenze che mostra una grossa nave marittima, ma i confronti con il Tevere possono fare ipotizzare l’uso di barche a fondo tondo come i lenunculi 17. Dal Medioevo abbiamo una maggiore documentazione: le monòssili di Bientina, una delle quali è al Museo Archeologico di Firenze 18, mostrano una forma comune alle tradizioni dell’Italia centrale interna: fondo piatto, fiancate rettilinee ed estremità rilevate come quelle delle navi. Esse indicano anche un rapporto di reciproca influenza tecnica con le barche semplici a fondo piatto derivate dalle zattere che venivano usate negli stessi ambienti 19, come le nostre navi; è questa l’epoca in cui per navicula si intendeva la barca da traghetto. Con Ambrogio Lorenzetti troviamo barche ad estremità simmetriche derivate dalle zattere, forse del lago di Chiusi, e poi barche marittime con la poppa a specchio, riprese anche dal Beato Angelico, ma occorrerà arrivare alla Veduta della Catena di Firenze (1470-1488) per avere la prima immagine circostanziata dei barchìno e della nave. Documenti di Fucecchio dei XIII secolo ricordano anche un noccolello usato per la pesca: potrebbe essere un antenato dei barchìno o la monòssile come quelle di Bientina 20; la sua etimologia dovrà essere definita, ma s’intuisce una comunanza con navicula, in varie versioni, il genere maschile conferma che si tratta di un’imbarcazione piccola per la pesca, la raccolta dei materiali palustri o per il piccolo trasporto di persone.
Di un secolo successive sono le prime immagini di barche a scafo tondo riconducibili a quelle tradizionali: sulla formella con il castello di Rondine del monumento funebre del vescovo Guido Tarlati nel Duomo di Arezzo (1330 Giovanni o Angiolo da Siena) è raffigurato con chiarezza un barchétto, con la poppa rialzata 21 e del 1357 è l’affresco di Nardo di Cione in S. Maria Novella a Firenze, con la rappresentazione di un grosso navicello o di un burchio.
Da allora i documenti sono abbastanza continui, fino ai dipinti dei Van Wittel (che mette però un’immaginaria galea sull’Arno), dei Bellotto o le stampe dello Zocchi 22 ed insieme a quelli scritti ci consentono di meglio comprendere questa storia navale. Apprendiamo che verso il XV secolo esisteva la figura professionale dei navicellaio-scafaiolo, cioè del barcaiolo che era in grado di riparare, e fors’anche di costruire, la sua imbarcazione 23. Ma anche l’architettura colta era interessata alla costruzione delle imbarcazioni, come ci mostra l’opera del Brunelleschi 24. I documenti scritti dal Cinquecento in poi ci confermano l’importanza delle vie d’acqua nell’economia toscana: intorno al 1550 compaiono anche i calafati autori delle imbarcazioni protagoniste dei grandi trasporti di grano, materiali ferrosi (dalla “Vena del Ferro”), materiali da costruzione, argilla per la ceramica, e passeggeri. E del 1603 l’apertura del Canale dei Navicelli da Pisa a Livorno e la tradizione costruttiva di Limite si configura come focale per tutto l’Arno, tanto che nel Settecento si parla dei suoi cinque cantieri come di arsenali… ove si costruiscono navicelli atti alla navigazione dell’Arno ed ancora per andarsi in mare 25. Di questo periodo è una fusta dei Duchi di Lorena, che forse dà ragione della presenza di navi a remi sull’Arno nelle vedute del Van Wittel 26, ma è chiaro che l’imbarcazione più tipica per i trasporti fu, già allora, il navicèllo, e proprio perché così caratterizzante una civiltà materiale delle acque diversa da quella veneziana, fu ricordato dal Goldoni nella Locandiera: (1753 Atto I, scena X VIII).
ORTENSIA: Per oggi non possono arrivare a Firenze. Da Pisa a qui in navicello ci vogliono almeno tre giorni.
DEJANIRA: Guardate che bestialità! Venire in navicello!
ORTENSIA: Per mancanza di lugagni. E assai che siamo venute noi in calesse.
In questo succedersi di epoche e di evoluzioni economiche, rimase sempre la distinzione tra i trasporti piccoli, la caccia e la pesca, e quelli a distanze e portate maggiori. I primi erano svolti da imbarcazioni piccole a fondo piatto, appunto come i barchìni, che, anche se semplici od arcaici, svolgevano la loro funzione in modo economicamente accettabile. Essi acquisirono lo specchio a poppa in seguito ad un processo di semplificazione avvenuto forse prima del XV secolo 27. Per i secondi divennero esclusivi i barchétti ed i navicèlli, con momenti alterni, a causa del regime di navigazione dell’Arno e poi per gli apporti della cultura navale che potevano provenire, ad esempio, dall’arsenale pisano, oltre che dall’effetto di omologazione dei tipi esercitato dai cantieri di Limite, almeno a partire dal Settecento 28.
In questo quadro, se da una parte vi fu un’influenza delle imbarcazioni marittime su quelle interne, dall’altra ci fu un processo opposto, come l’impiego, nell’antichità, delle forme piatte villanoviane e, ben più recentemente, l’adattamento del navicello alla navigazione marittima 29, con innalzamento dello scafo, la trasformazione della vela tarchia in vela da navicèllo, avvenuto tra il XVII e l’inizio del XIX secolo. Lo straordinario sviluppo delle costruzioni navali di Viareggio nel secolo scorso è legato a questo travaso di esperienze.
Di queste vicende sono testimoni i termini usati dai costruttori e dagli utilizzatori delle nostre barche sui paduli e sul fiume (Fig. i, d).
– Figura i. Barchino del Padule di Fucecchio, termini dialettali.
Per il barchìno di Fucecchio si nota una certa genericità ed una comunanza con le tradizioni centrali interne; sono ben presenti i criteri di conformazione dello scafo, che ha la sua alzata, svasatura e rilevata, ma questi termini non sono riconducibili a misure esatte, a parte l’alzata, ma piuttosto all’angolo che le fiancate o lo specchio formano con l’orizzonte, seguono di più l’andamento dello sguardo, o il gesto di chi disegna nell’aria la forma o la segue con la mano, che non misure precise. Del resto ben raramente nei nostri dialetti si trovano riferimenti precisi a concetti astratti come lunghezza, larghezza, spessore, raggio di curvatura od altri; al massimo si diceva l’equivalente di: è lungo così, è largo, è alto, indicando con la mimica il particolare.
I matèi sono parte importante della struttura ed il loro no me si riferisce all’intera struttura trasversale formata da tre pezzi, come sul Lago di Massaciuccoli, in alcuni casi di Bolsena e ad Orbetello (matèi, matìvi) 30. Sui barchétti e sui navicèlli i matìli sono solo una parte della struttura trasversale: le traverse del fondo, mentre le parti verticali a forma tonda o variamente rastremata si chiamano palacàrme, che mi pare adombrare parascalmo (vicino, o facente le funzioni dello scalmo, ossia la parte più alta dell’ordinata) di probabile origine greca. Per il barchìno non abbiamo questa distinzione, per una genericità di termini dovuta anche al fatto che la costruzione di questa barca non era sempre appannaggio di costruttori professionali: il dritto di prua è punta, come a Bolsena ed a Vico, lo specchio di poppa è culàtta come in tutta la tradizione centrale interna, ma poi per il fondo, le sponde e l’identificazione delle forme i termini sono piuttosto generali; più caratteristica è la pontigiana, o ponticello.
Le barche dell’Arno, siano esse barchétti con le caratteristiche dei barchini o di quelle dei navicèlli, hanno un vocabolario più ampio (Fig. d). Vi sono influssi dalla navigazione marittima di antica data, come quelli derivati dal greco 31, introdotti probabilmente in età bizantina (paracarma, tràppice dal bizantino τραπεζα, base dell’albero). Tra questi, sul Lago di Massaciuccoli, nella fascia interna immediatamente a ridosso del mare e lungo la costa è presente il termine giàcchio con alcune varianti locali, che indica la barra del timone, che in greco era ed è οιαξ e che sul Tirreno meridionale è diventato iascio, o iasciu. Dalla navigazione marittima abbiamo anche l’antico trastuccio, la prua (e non prora, come avrebbero voluto i puristi) e poi fasciame, arbero, ròta (in altre tradizioni asta e italianizzato in dritto), forcàccio, timone, vela, skarmo. Termini fluviali più antichi mi paiono nave, navicèllo, parchetta (palchetto), palcuccio, fattorino (anziché giàcchio o simile). Più generiche o generalizzate sono le parole: alberatoia, corda, stanga, sponda; per il barganèllo si può ipotizzare un trasferimento dal vocabolo simile usato sul Tirreno per indicare il capodibanda o il trincarino 32.
– Figura d. Barchétto a vela di Limite sull’Arno.
La costruzione dei navicèlli appare molto evoluta, se la confrontiamo con il substrato arcaico della cultura materiale dei fiumi e laghi della Italia centrale, e la conformazione delle fiancate tonde suggerisce una parentela con costruzioni navali “colte”, la cui origine è ipotizzabile in ambienti marittimi, o fluviali che abbiano avuto una storia navale “evoluta” precedente. Un ricordo di questa storia può essere ipotizzato nella denominazione di quadrato di prua, quadrato di poppa data alla parte di scafo compresa tra il trastuccio e l’estremità; in questa vi è l’accenno della suddivisione dello scafo nelle tre parti principali tenute presenti dal costruttore: quella centrale e le estremità che si restringevano. Le sezioni trasversali che delimitavano queste parti si chiamavano, in varie tradizioni italiane delle acque interne, sesti e quarti 33. Si notano quindi tracce di un modo di disegnare gli scafi, che doveva essere la base culturale dei costruttori di Limite, sulla quale essi appresero i metodi più moderni, basati sulle sezioni perpendicolari o sui modelli sezionati, da cui ricavare le forme definitive. Il compasso, la squadra, il cordino od i quartabuoni (che stabiliscono l’inclinazione del taglio delle paracarme) sono attrezzi abbastanza comuni, ma i criteri principali alla base della conformazione dei barchetti e dei navicèlli erano ancora le dime, o forme delle sezioni trasversali, che venivano conservate per utilizzarle nella costruzione di imbarcazioni dalle misure e prestazioni analoghe.
In questo modo ritengo sia inquadrabile il discorso sui barchìni di Fucecchio nell’ambito delle tradizioni costruttive navali toscane. La Toscana appartiene alla vasta area culturale centrale interna che accomuna le valli dell’Arno, del Tevere, del Garigliano e del Volturno, con i laghi contigui, per cui i confronti possono essere ancora ampliati e per il Tevere vi sono particolari motivi di comunanza con l’Arno, come si è potuto notare in qualche cenno, ma all’interno di questa tradizione i barchìni di Fucecchio e quelli immediatamente paragonabili costituiscono una famiglia ben individuata e circoscritta (Fig. f, g, c, l, a, i).
Scheda N. 1
Tipo di imbarcazione | Barchino |
---|---|
Località | Anchione (PT) |
Lunghezza | m. 3,95 |
Larghezza | m. 0,915 |
Altezza a prua | m. 0,38 |
Altezza a poppa | m. 0,38 |
Altezza al centro | m. 0,29 |
Sporgenza della prua | m. 0,49 |
Sporgenza della poppa | m. 0,42 |
Cavallino a prua | cm. 7 |
Cavallino a poppa | cm. 6,5 |
Larghezza del fondo piatto | m. 0,61 |
Numero ordinate | 6 |
Distanza tra le ordinate | cm. 40 |
Spessore delle ordinate | cm. 3 |
Numero delle traverse | 6 |
Spessore del fasciame | cm. 1,5 |
Manovre | forcìno con stanga da m. 3,5 (fino a 4,5) a spinta |
Legnami | pino |
Colore | Nero di pece dentro e fuori |
Portata | 2,5 quintali, o due persone |
Impegno | caccia e pesca |
Data di costruzione | 1960 |
Proprietario | Lamberto Magrini |
Località | Ponticelli |
Riferimenti | numero dei matèi, sezione maestra, culàtta (cm. 35 x 47 x 24), inversione dell’ordine di montaggio delle parti di matèi (3 verso prua e 3 verso poppa) |
Disegni | N° 1, Fig. f |
Data del rilevamento | 25 aprile 1993 |
Scheda N. 2
Tipo di imbarcazione | Barchina |
---|---|
Località | Anchione (PT) |
Lunghezza | m. 4,22 |
Larghezza | m. 1 |
Altezza a prua | m. 0,51 |
Altezza a poppa | m. 0,38 |
Altezza al centro | m. 0,28 |
Sporgenza della prua | m. 0,64 |
Sporgenza della poppa | m. 0,48 |
Cavallino a prua | cm. 7 |
Cavallino a poppa | cm. 5 |
Larghezza del fondo piatto | m. 0,68 |
Numero ordinate | 8 |
Distanza tra le ordinate | cm. 32 |
Spessore delle ordinate | cm. 3 |
Numero delle traverse | 8 |
Spessore del fasciame | cm. 1,5 |
Manovre | Forcìno con stanga da m. 4 a spinta |
Ancoraggio | Catena sotto la pontigiana collegata al forcìno piantato sul fondo del canale |
Legnami | pino |
Colore | Nero di pece dentro e fuori |
Peso | Circa 45 kg |
Portata | 3 quintali, e/o due persone |
Impegno | caccia e pesca |
Data di costruzione | 1970 |
Costruttore | Bozzi di Massarella |
Proprietario | Vittorio del Rosso di Pieve a Nievole |
Località | Ponticelli |
Riferimenti | numero dei matèi, sezione maestra, culàtta (cm. 32 x 56 x 19,5), inversione dell’ordine di montaggio delle parti di matèi (4 verso prua e 4 verso poppa) |
Disegni | N° 1, Fig. g |
Data del rilevamento | 25 aprile 1993 |
Note:
1 Questo testo è la rielaborazione degli appunti, finora inediti, presentati al Convegno nazionale Cultura delle acque interne organizzato dall’Atlante Linguistico dei Laghi Italiani (Università di Perugia) a Cerreto Guidi dal 28 al 30 maggio 1993 ed alla Mostra Per correre migliori acque organizzata da A.R. Deli a Limite sull’Arno presso la Biblioteca Comunale dal 28 maggio al 10 giugno 1993. Ringrazio i collaboratori dell’ALLI Daniela Dani, Annarosa Deli e Fabrizio Franceschini per l’organizzazione di sopralluoghi ed i Sigg. Alvaro Cecchi ad Anchione e Giuseppe Bagnoli di Marcignana (Empoli) per le interviste del 25.4.1993. Il testo è stato pubblicato con il medesimo titolo nella rivista “Erba d’Arno”, n. 66, 1996, pp. 28-47.
2 Consorzio degli emissari del Padule di Fucecchio, Il Padule di Fucecchio ed i suoi regolamenti speciali di pubblica salute, Firenze 1889, nota a p. 37; S. Feroni, Osservazioni intorno alla Palude di Fucecchio, Lucca 1721.
3 F. Franceschini, Il lago e il Padule: pesca e caccia nel Bientina dai Secc. XVI-XVIII all’epoca recente, in Lingua, storia e Vita dei laghi d’italia, Atti del i Convegno dell’ALLI, Lago Trasimeno, sett. 1982, Università degli Studi di Perugia, Ed Maggioli, 1984, pp. 451- 467; P. L. Cervellati, G. Maffei Cardellini, Il Parco di Migliarino, San Rossore, Massaciuccoli, in Progetto Toscana N. 5, Giunta Regionale Toscana, Ed. Marsilio, Venezia 1988; V. Di Baccio, Origine e sviluppo del Canale dei Navicelli, in “Rassegna dei Comune di Pisa” N. 7, 1968, pp. 26 segg.; M. Bonino, Barche tradizionali delle acque interne nell’Italia centrale: quadro di riferimento e risultati della ricerca, “Quaderni dell’Atlante Linguistico dei Laghi italiani”, N. 1, Nuova Guaraldi, Firenze 1982, con bibliografia.
4 M. Busoni, Ciclo del legno e maestri d’ascia, carpentieri e tradizione navale a Limite sull’Arno a cura del Comune di Capraia e Limite, Vinci 1985; R. Peruzzi, La terra e il fiume, arti e mestieri a Limite sull’Arno, a cura dei Comune di Capraia e Limite, Vinci 1987.
5 G. Ciampi, Firenze-Vallombrosa e ritorno, in “Capire l’Italia”, IV, campagna e industria, itinerari, T.C.I. Milano 1981, pp. 40-45; A. Gabrielli, F. Settesoldi, La storia della foresta casentinese nelle carte dell’Archivio dell’Opera del Duomo di Firenze dal secolo XIV al XIX, Roma 1977; R. Peruzzi, La terra e il fiume, cit., p. 18.
6 Dipinto conservato presso il Palazzo d’Accursio di Bologna, che mostra un burchio con timone laterale in un paesaggio toscano, Dittico dei Duchi di Urbino di Piero della Francesca agli Uffizi con il paesaggio dell’alta valle del Tevere attorno a Sansepolcro.
7 Tra le molte fonti: A. Malvolti, Le risorse del Padule di Fucecchio nel Basso Medioevo, in Il Padule di Fucecchio, la lunga storia di un ambiente naturale, a cura di A. Prosperi, Ed. di Storia e Letteratura, Roma 1995, pp. 45-46; nelle Cronache del Villani sono ricordate le gualchiere che peggiorarono la situazione dell’inondazione dell’Arno a Firenze nel novembre del 1348, da allora furono bandite tutte le costruzioni che potevano creare ostacoli sia alla navigazione che al deflusso delle acque.
8 M. Bonino, Tecniche e forme di costruzione delle imbarcazioni dei laghi italiani, in Lingua, storia e vita dei laghi d’Italia, cit., pp. 151-178, Fig. 9; M. Bonino, Barche tradizionali della acque interne, cit.
9 Foto Alinari in Toscana, “Le regioni d’Italia” N. 8, UTET, Torino 1964, p. 253.
10 P.L. Cervellati, G. Maffei Cardellini, Il parco, cit; oltre ad appunti sparsi, alcune inquadrature del film Puccini del 1953.
11 AA.VV, Toscana, II, in Tuttitalia, Sansoni, Firenze 1965, pp. 389, 404, 563, 601, 616.
12 A. Nesi, La pesca nella Laguna di Orbetello, “Monografie dell’Atlante linguistico dei Laghi Italiani” N. 4, Ed. Casa Usher, Firenze 1989.
13 M. Bonino, Archeologia e tradizione navale tra la Romagna e il Po, Ed. Longo, Ravenna 1978, pp. 117-132, 143.
14 F. Franceschini, Il lago e il padule: pesca e caccia nel Bientina, cit., pp. 451-467.
15 M. Bonino, Sardinian, Villanovian and Etruscan crafts between the X and the VIII Cent. B.C. from bronze and clay models, in “Tropis 3, 3rd International Symposium on Ship Construction in Antiquity, Athens 1989”, Hellenic Institute for the Preservation of Nautical Tradition, Athens 1995, pp. 83-98.
16 M. Crisrofani, Gli Etruschi del mare, Longanesi, Milano 1983 Fig. 18-22.
17 M. Bonino, Barche, navi e simboli navali nel cimicero di Priscilla, in “Rivista di Archeologia Cristiana”, a. LIX, 1983, n. 3-4, pp. 277-311, Fig. 12.
18 M. Bonino, Rafts and dugouts in Central Italy, the primitive phase of inland boatbuilding, in “The Mariner’s Mirror”, Vol. 67, London 1981, pp. 125-148; M. Bonino, Le monòssili in Italia, in “Bollettino del Museo Civico”, a. LXXII, Padova 1983, pp. 51-77.
19 M. Bonino, Tecniche e forme di costruzione delle imbarcazioni dei laghi italiani, cit.
20 A. Malvolti, Le risorse del Padule di Fucecchio, cit., p. 45.
21 V. Alinari, A. Beltramelli, L’Arno, cit., p. 59.
22 Materiale illustrativo noto e riprodotto in molte delle opere citate, presentato in parte nella Mostra: Per correre migliori acque, cit, inoltre, tra l’altro, G. Briganti, Gaspar van Wittel, Ed. Bozzi, Roma 1966, NN. 119, 166, 216.
23 R. Peruzzi, La terra e il fiume, cit. p. 10.
24 G. Rodella, Imbarcazioni da trasporto fluviale e ingegneri-costruttori a Mantova nel XV secolo, indagine documentaria, in il Po mantovano, “Studi di cultura materiale dei Museo Civico Polironiano”, N° 3, S. Bendetto Po 1986/87, pp. 51-63.
25 R. Peruzzi, La terra e il fiume, cit., p. 19.
26 Modello inedito del compianto Lorino Lascialfari, Firenze 1978.
27 M. Bonino, Tecniche e forme di costruzione, cit.
28 M. Busoni, Ciclo del legno, cit., pp. 54-55 e iconografia ricordata alla nota 23.
29 M. Bonino, Notes sur les navicelli italiens, in “Le petit perroquet” N. 20, Grenoble hiver 1976-77, pp. 46-57; N. Picchiotti, S. Scuderi, Colloquio con il mio tempo, Viareggio, cantiere Picchiorti 1979; disegni modellistici di A. Matteucci, Firenze 1967-1970.
30 M. Cortellazzo, Terminologia marittima bizantina e italiana, in La navigazione mediterranea nell’Alto Medioevo, XXV Settimnana di studi sull’Alto Medioevo, Spoleto, aprile 1977, Spoleto 1979, pp. 759- 773; M. Bonino, Archeologia navale, in Storia di Ravenna, Vol. II, tomo 1, Marsilio, Venezia 1991, in particolare pp. 47-52.
31 M. Casaccia, I pesci del Lago di Bolsena, Quaderni ALLI, N.3, La Casa Usher, Firenze 1988; M. Silvestrini, Esperienze con il questionario ALLLI presso il Lago di Vico, in Lingua, Storia e vita, cit., pp. 589-605.
32 A. Guglielmotti, Vocabolario marino militare, Roma 1889, rist. Mursia, Milano 1967.
33 In Piemonte e nel Medio Po: quarti, nel Veneto: sesti; per gli influssi colti locali: AA.VV, Livorno e Pisa: due città e un territorio nella politica dei Medici, Catalogo della Mostra, Pisa 1980 ed il contributo di P. Angiolini, La politica marittima dei Medici e le vicende dell’Arsenale di Pisa, pp. 176-190.