19 Gen Il modello del motoscafo che si inabissò il 9 settembre 1911
Gli amici del gruppo Navimodellisti Pontassieve hanno terminato il modello in scala 1:6 del motoscafo che si inabissò il 9 settembre 1911 e che (ancora in fase di costruzione) avevamo presentato a settembre dell’anno scorso durante la mostra Storia di barche, allestita al piano nobile di Palazzo della Corgna.
La sentenza del tribunale di Perugia del 17 dicembre 1912
N. 540 del Registro delle sentenze dell’anno 1. – N. 3531 del Reg. gen. Del Proc. del Re – 161 del Reg. Gen. Di Cancelleria dell’anno.
In nome di Sua Maestà Vittorio Emanuele III per grazia di Dio e volontà della Nazione Re d’Italia.
L’anno millenovecentododici il giorno 17 del mese di Dicembre in Perugia.
La Sezione del Tribunale Penale di Perugia composta dai Signori:
- Avv. Montali Armando, Presidente
- Cervadoro Domenico, Giudice
- Catucci Giuseppe
- Con l’intervento del Pubblico Ministero rappresentato dal Procuratore del Re Avv. Cav. Umberto Giovannoni
- e con l’assistenza del Vice Cancelliere.
In linea penale ha pronunciato la seguente sentenza nella causa ad istanza del Pubblico Ministero a carico di
- Fabbroni Enea di Luigi di anni 25
- Lana Giovanni fu Luigi di anni 43
- Piastrelli Francesco fu Andrea di anni 26
Liberi – comparsi
Imputati
- di omicidio colposo (art. 371 c. a c.p.) perché, avendo in società fra loro fatto acquisto di un canotto automobile che posero nel lago Trasimeno con l’intento di fare degli esperimenti per stabilire un pubblico servizio di navigazione, il giorno 9 settembre 1911 organizzarono una nuova gita a pagamento ed essendo stato imbarcato sul battello un numero eccessivo di persone, mentre il Fabbroni al quale era affidata la condotta del canotto non aveva le cognizioni tecniche e la pratica speciale che si richiedevano per la navigazione con imbarcazioni del genere e autoscafo era sprovvisto di ogni mezzo di salvataggio, di pompe in fontana e di parecchi attrezzi che debbono fornire un canotto, erano causa che questo naufragasse in prossimità di Castiglione del Lago e che perissrro per annegamento 14 delle persone che portava e cioè: Del Pasqua Pia – Della Vicina Erminia – Rasetti Iolanda – Bianchini Geltrude – Picchioni Bruna – Bigi Sabina – Monottoli Anna – Monottoli Odda – Fabbroni Alessandrina – Scapocchi Guendalina – Baldetti Antonia – Baldetti Azelia – Baldetti Isolina – Avanzati Mary.
- di contravvenzione all’art. 79 della legge 25 luglio 1904 n. 923 1c della legge sulle concessioni governative 13 settembre 1874 n. 208 n. 23 della tabella annessa, due della legge 19 luglio 1880 n. 5536 allegato F, per avere nell’agosto e nel settembre 1911 esercitato la navigazione nelle acque del Lago Trasimeno con un canotto a motore senza avere soddisfatto la tassa dovuta per la concessione governativa.
In esito al dibattimento pubblico.
Fatto.
Nel pomeriggio del 9 settembre 1911 in Castiglione del Lago 14 giovani donne presero posto in un motoscafo, che da poco tempo era stato immesso nel lago per recarsi in piacevole diporto al paesello rivierasco di S. Feliziano: oltre quelle donne trovavansi nel battello e come unico uomo partecipante alla gita, Patrizi Guido impiegato all’Ufficio del Registro di Terni, nonché Fabbroni Enea condottiero dell’imbarcazione ed addetto al motore e suo zio Silvi Sante al governo del timone.
La navicella procedé per circa un chilometro e mezzo in direzione della meta, ma poi, per il sorgere improvviso di un vento di ponente che faceva imbarcare acqua alla navicella, o per altre ragioni non bene precisate, le donne a quanto sembra, impressionate, espressero il proposito di retrocedere o quanto meno di costeggiare la riva.
Fu così che il Fabbroni aderì al loro desiderio e retrocesse spingendo il motoscafo a tutta velocità in direzione di Castiglione del Lago, ma non poté giungere al lido perché a circa 150 (centocinquanta) metri da questo, il motoscafo stesso si sommerse e tutte le donne perirono affogate, salvandosi soltanto il Patrizi, il Silvi e il Fabbroni che furono solleciti, appena toccata la riva, di chiedere aiuti agli accorsi; furono prestamente inviate barche sul luogo del disastro, ma non si poté peraltro che pescare i cadaveri delle quattordici infelici; dopo ciò si credé opportuno di trascinare il battello naufragato, e che emergeva dalle acque soltanto con la prua, alla riva e perciò furono impiegati canapi e funi, alcune delle quali si spezzarono, ma finalmente l’intento poté essere raggiunto e il motoscafo fu tratto sul greto fino al emergere per buon tratto dalla parte anteriore all’asciutto, mentre la poppa rimaneva immersa, coi bordi però superiori fuori dell’acqua; deve notarsi a questo punto che nel faticoso lavoro di trascinamento sulla riva, che nel luogo ove fu operato è irta di sassi accumulati, furono avvertiti rumori di schiantamento e di scricchiolìo che fecero temere per l’incolumità dello scafo.
In queste condizioni sopraggiunse il Vice pretore di Castiglione del Lago che, dandosi carico di alcune voci che correvano, accennanti al fatto di essersi prodotta nel canotto una qualche falla, praticò l’opportuna visita e diede atto nel suo verbale di avere constatato che lo scafo non presentava lesioni di sorta.
Il Giudice Istruttore intervenne da Perugia nel giorno stesso del disastro e poche ore dopo che questo era avvenuto; trovò che la parte poppiera del canotto era invasa dall’acqua e che, tentato lo spostamento, questo non era potuto riuscire perché ‘acqua continuava a penetrare; credé quindi ben fatto di ordinarne il trasporto al pontile demaniale onde provvedere in migliori condizioni alle osservazioni opportune perché anche in quel momento non gli fu possibile accertare se la chiglia e il motore avessero delle avarie.
Nelle visite praticate però nei giorni seguenti, quando lo scafo poté essere posto in condizioni da poter essere diligentemente esaminato, nel mentre si constatò che il motore era integro e regolare, si riscontrò invece che nella chiglia sotto il ponte centrale davanti al motore e alla distanza da questo di 20 centimetri, a sinistra della linea longitudinale mediana ed a 18 centimetri da questa vu era una falla della larghezza di centimetri tre; si notò anche sulla stessa direzione della falla suaccennata una scheggiatura poco sollevata della lunghezza di 15 centimetri, larga alla base tre e sulla punta mezzo centimetro circa, situata al disopra della rottura già descritta un metro all’incirca, nonché una depressione tra le due avarie che andava mano a mano accentuandosi fino alla falla ed altre graffiature da prua a poppa parallele alla depressione più grave.
Intorno al luttuosissimo fatto venne operata diligente istruttoria, al termine della quale il giudice istruttore con sua ordinanza del 5 aprile 1912 rinviò al giudizio di questo Tribunale e per rispondere di omicidio colposo ai sensi del capoverso dell’art. 371 del codice penale, nonché di contravvenzione per esercizio abusivo di navigazione nelle acque del Trasimeno, non solo il conducente dell’imbarcazione Fabbroni Enea, ma anche Lana Giovanni e Piastrelli Francesco che ritenne essere con lui associati per l’acquisto ed esperimento del battello fatale, essendo in ciò tali imprudenza e negligenza ed essendo anche il Fabbroni sfornito delle cognizioni tecniche e della pratica speciale per il governo di una imbarcazione del genere di cui è caso, da causare il naufragio e la morte di 14 persone.
Diritto.
Ed è anzi tutto opportuno parlare appunto dei rapporti esistiti fra il Fabbroni, il Lama e il Piastrelli a proposito dell’acquisto ed esperimento del battello, per stabilire, data l’esistenza di una società all’uopo, su cui non sembra possibile il dubbio, se tutti debbono rispondere del grave disastro del 9 settembre 1911.
Da parecchio tempo era sorta in Castiglione del Lago l’idea di costituire una società per la navigazione del Trasimeno, onde mettere in valore le svariate bellezze di quello specchio d’acqua e giovare così anche alle popolazioni rivierasche; fu fatto un progetto, furono interpellate varie persone facoltose del luogo per vedere se la costituzione di una tale società avrebbe potuto realizzarsi efu anche fatta la minuta dell’atto costitutivo della società stessa.
E’ ben vero che la Società in effetto non era al momento della disgrazia ancora stabilita, ma il Fabbroni, il Lana e il Piastrelli se ne erano fatti i promotori e, per facilitarne l’avvento, avevano pensato e predisposto un esperimento di fatto acquistando un motoscafo ed immettendolo nel lago.
Si è voluto sostenere che il solo Fabbroni deve rispondere delle conseguenze di questo atto preparatorio, in quanto che venne da lui solo ideato e posto in atto, mentre gli altri non fecero se non la somministrazione del denaro occorrente, essendone egli sprovvisto; le risultanze però della istruttoria e del dibattimento hanno dimostrato che l’azione del Lana e del Piastrelli nell’acquisto ed esperimento del battello non si limitò ad un semplice prestito mutuo, mentre invece tutto collima a stabilire che essi si associarono a tutto ciò che aveva attinenza all’esperimento dello scafo, sì che rimane evidente come l’esperimento stesso fosse l’oggetto di quella prima società e la navigazione diventava società in fieri. E molti sono i fatti che ciò provano esaurientemente.
Prima di tutto non è azzardato l’affermare che fra i tre esistesse già una società per la vendita di automobili, biciclette ed affini che da qualche tempo erasi stabilita in Castiglione del Lago e che andava sotto la ditta E. Fabbroni e C.i.
Il Fabbroni dichiarava che l’aggiunta del C.i era una finzione, per dar più credito alla ditta, mentre di fatto egli solo ne era il proprietario; ognuno vede quanto tale giustificazione sia puerile, ma comunque a smentirla stanno varie circostanze oltre le continue somministrazioni di danaro o meglio delle firme nelle cambiali di pagamento da parte del Lana e del Piastrelli; costui si occupa dell’amministrazione dell’azienda, ordina gli stampati, il Lana dà i locali, ne tiene le chiavi; tutti e tre fanno contratto insieme, come per l’acquisto da certo Luschi della privativa di una sua invenzione relativa ai veicoli di cui la ditta faceva commercio…
Per questi ed altri indizi ed argomenti come la persuasione e convinzione generale del paese, si ha adunque la certezza che la Ditta E. Fabbroni e C.i fosse precisamente costituita dai tre imputati e questo porterebbe già di per sé la facile convinzione che la ditta stessa e quindi tutti i suoi componenti si fossero adoperati alla compera e all’esperimento del motoscafo che doveva poi servire di base per la realizzazione del vagheggiato proposito, quello cioè della costituzione della Società di Navigazione.
Ma se si vuole anche prescindere da ciò, si hanno sempre bastevoli elementi per poter dire che tutti e tre, il Fabbroni, il Lana ed il Piastrelli si erano associati nell’intendimento di iniziare la navigazione ed all’uopo avevano provvisto l’autoscafo e promosso i relativi esperimenti per misurare la forza del motore e la capacità e stabilità del battello in confronto delle condizioni del lago.
Il Lana incomincia lui ad ammettere la imbarcazione nel Lago, avvalendosi della concessione del motu proprio di Pio VII, come proprietario di un po’ di terra all’Isola Maggiore, che forse aveva acquistata a bella posta (forza!); ed in seguito fa la domanda per l’esercizio pubblico, domanda che all’epoca del disastro non era stata ancora accolta.
Questa p evidentemente diretta ingerenza, come diretta ingerenza è quella del Lana stesso e del Piastrelli di organizzare gite e riscuotere il denaro che si faceva pagare ai passeggeri, sia pure a titolo soltanto del rimborso delle spese; il Piastrelli poi lo vediamo in una delle gite proprio alla direzione del motore; infine il Piastrelli stesso presentò al Giudice Istruttore i documenti in suo possesso per la vendita del motoscafo, che fu poi in parte pagato con accettazione a firma di tutti e tre, e nel suo esame quando viene inteso come testimone il 12 settembre 1911, s’espresse in modo tale che non è possibile dubitare della sua interessenza all’acquisto del battello.
Come si vede adunque, non si può negare che tutti e tre, il Fabbroni, il Lana ed il Piastrelli, avessero un obiettivo comune, ed agli atti della sua realizzazione portassero il comune contributo; e da ciò ne discende appunto una responsabilità anche penale per tutti e tre i fautori dell’esperimento, in quanto che vi fu il concorso degli atti di tutti sulle cause che produssero il disastro.
E passando ora alle cause stesse, il Tribunale trova che esse furono:
- la grave negligenza usata negli esperimenti, tanto da sovraccaricare il battello di un numero eccessivo di passeggeri, negligenza questa che raggiunge il colmo nel 9 settembre 1911 in cui furono prese a bordo 14 donne;
- la grave imprudenza di non aver fornito il battello di alcun mezzo di salvataggio;
- l’imperizia del Fabbroni.
In istruttoria e nel dibattimento si è indagato e discusso molto sulla falla riscontrata sulla carena del battello, pensando che alla medesima preesistente al naufragio questo fosse dovuto.
E’ certo che tutti i dubbi non furono dissipati al riguardo; la navicella partì dalla riva con lago calmo e soltanto dopo un chilometro e mezzo di navigazione le donne, fu detto, impressionate pel vento improvvisamente sopraggiunto che aveva fatto sollevare delle onde che si riversavano dentro l’imbarcazione, avevano espresso con qualche energia il desiderio di ritornare; è positivo, malgrado alcune affermazioni in contrario, che un po’ di vento colse il battello quando esso giunse al largo, ciò che è del resto frequente nei mesi di agosto e settembre, ma è altrettanto certo che il vento non fu gagliardo e tale da dover dare eccessive preoccupazioni; se si pensa che in altre gite precedenti fatte con lo stesso scafo e con vento più furioso non si ebbe una invasione allarmante di acqua. Ora invece nel caso in esame, dalle dichiarazioni non troppo concordi dei superstiti si è appreso che l’acqua cresceva continuamente nell’interno del battello, tanto da essere presentita l’imminenza del suo sommergimento; due delle donne infatti svennero; una che sapeva un po’ nuotare, credé opportuno di premunirsi liberandosi del falsetto e della gonnella, il timoniere Silvi infine consapevole del galleggiamento delle imbarcazioni costruite in legname nonostante la loro completa immersione (non pensò egli in q uel momento al peso del motore) credé ben fatto di uscire dal battello e di guadagnare al più presto la sponda a nuoto per provvedere ai soccorsi: tutto ciò mentre esclude che l’affondamento dell’imbarcazione fosse dovuta come si disse e sostenne ad un improvviso movimento delle donne che, prese dallo spavento, si riversarono tutte la una parte facendola rovesciare, significa che invece, come si è già osservato, la sommersione fu preveduta per il continuo crescere dell’acqua che gli sforzi del Fabbroni con la mestola e del Patrizi col cappello non riuscivano a togliere dalla stiva.
Questo fatto fa pensare invero ad una via d’acqua ben altrimenti abbondante di quella che può essere imbarcata dagli spruzzi delle onde, ossia ad una apertura nella carena; ma di fronte all’esito incerto della generica, il Tribunale non si sente di poter asserire che la falla riscontrata nel battello preesistesse al naufragio, sia pure in proporzioni più ridotte e che il Fabbroni ne fosse a cognizione.
Come si è detto, avvenuto il disastro, il motoscafo fu tratto a riva e trascinato in così malo modo sul greto sassoso che non è meraviglia che la falla siasi potuta produrre allora: ciò fu pensato dalle autorità per prime accorse ed anche dai periti, tanto che il dubbio permane e non sono certo sufficienti i pochi vaghi accenni specifici raccolti in istruttoria ed accennanti ad un cozzo che il battello avrebbe subito contro degli scogli in epoca precedente, per poter asserire che la falla esisteva e che fu questa che causò l’affondamento all’infuori di ogni altra manchevolezza.
Ciò eliminato e posto fuori di questione, una grandissima imprudenza si fu quella di avere imbarcato oltre il Patrizi Guido e i due al governo della navicella, ben 14 donne, e ciò, si noti a titolo di prova, perché non bisogna dimenticare che si tratta di un periodo di esperimenti che dovevano essere fatti, lo si comprende con la massima cautela.
Il costruttore del battello, si osserva, aveva garantito 18 o 20 persone o più esattamente un numero di quintali che al peso di altrettante persone corrisponde; ma questo dato non ha eccessiva importanza, o meglio non deve essere mai preso in senso assoluto quando, come nel caso, si tratta di una imbarcazione leggera, che serve per passeggeri e che deve affrontare uno specchio di acqua che è soggetto ad improvvise tempeste; non a torto si è parlato di peso morto, ossia delle merci, e di peso vivo, ossia delle persone, facendo distinzione grandissima tra i due oesi; perché, mentre il primo si può collocare convenevolmente e rimane statico lungo tutto il tragitto, l’altro può muoversi e far variare le condizioni di stabilità dello scafo in modo da farlo rovesciare; ond’è che di queste circostanze conviene tener conto, tranne si tratti di gite così brevi e fatte in tali condizioni da non dover temere il sopraggiungere di difficoltà che possano porre in pericolo una tranquilla e facile navigazione.
Nel caso in esame poi, lo si ripete, si era in un periodo di esperimento: quanta maggior cautela adunque, doveva usarsi, tanto più che il conduttore, e lo vedremo dopo, non aveva ancora e non poteva ancora avere tutta la capacità ed esperienza necessarie per governare una imbarcazione del genere e tanto più che gli esperimenti eseguiti in precedenza non erano stati punto, in gran parte, incoraggianti.
Atre due o tre volte, invero, col battello carico e col lago mosso si era dovuto tornare a riva perché i gitanti si erano impressionati ed avevano presentito e temuto il pericolo.
Degli esperimenti se ne potevano fare sì quanti se ne volevano e nelle condizioni più difficili di carico e di tempesta, ma a patto di imbarcare uomini coraggiosi, pratici del nuoto e che all’occorrenza avessero quindi potuto salvarsi colla loro abilità personale, non fare esperimenti con donne ignare del nuoto, facili ed allarmarsi ed a spaventarsi, fu cosa sommamente imprudente.
E di questa imprudenza devono necessariamente rispondere tutti e tre gli imputati perché tutti vollero questi esperimenti fatti con tanta leggerezza, tutti vi cooperarono e vi concorsero, come tutti devono essere ritenuti in colpa per la gravissima e inescusabile negligenza per non aver sprovvisto il canotto di mezzi di salvataggio, come una sirena, una pompa di sentina, funi, salvagente etc. etc.
Riguardo alla mancanza di questi soccorsi preventivi si è detto che la casa fornitrice del battello non li aveva mandati e che del resto è consuetudine costante che tali imbarcazioni ne siano prive; compreso poi il poco fondamento di queste giustificazioni si è voluto dimostrare che giustamente gli armatori di piccole imbarcazioni trascurano di provvederneli perché riescono pressoché inutili; il Tribunale non può però consentire in questi apprezzamenti, massime quando si tratta di acque di estensione limitata, in vista e prossime alla riva, come nell’attualità.
Della pompa si è detto che non può avere che una portata limitata, ma sarà sempre più sollecita ed efficace di una mestola e di un cappello. Della sirena si è accertato che il fiscio sarebbe stato inutile se non vi fosse stata una convenzione che avesse indicato e fatto conoscere il fischio di allarme, ciò che non era possibile fosse in un lago che di imbarcazioni moderne è pressoché privo: sta bene, mail ripetuto ed inusitato fischio della sirena avrebbe certo richiamato la gente sulla riva ed i gesti ripetuti e disperati, nonché le grida di aiuto avrebbero potuto renderla avvertita del pericolo e muoverla ai soccorsi.
Dei salvagente poi si è detto che dessi sono proprio inutili perché … il perché veramente non si è bene specificato e si è asserito che i veri salvagente sono a tubo metallico con provisioni di cibo e di altro, mentre i ciambelloni di sughero, quelli che avrebbero in numero di due o tre al più trovato posto sul fatale canotto, sono gingilli che possono servire a tenere qualche minuto a galla quelli che li possono afferrare.
A qualche cosa adunque servono, e se il tenere a galla pochi minuti un naufrago che si trova in pieno oceano può resultare irrisorio e non desiderabile perché la cosa si risolverebbe quasi sempre in un inutile prolungamento di agonia, non è più così quando si tratta di uno che si sommerge a pochi metri dalla riva, da cui può essere visto e soccorso in tempo ed a cui può anche niente niente energico, accostarsi colle proprie forze e porsi in salvo: i galleggianti, quando il naufragio avviene a poca distanza dalla proda, sono sempre di grande utilità e ciò sa il Patrizi, uno degli scampati, che deve la sua salvezza ad un remo che gli capitò sotto le mani mentre stava per affondare e ciò sa e sapeva anche il Fabbroni che per aiutarle, porse, sebbene inutilmente, a qualcuna di quelle donne una delle tavole mobili del battello: costoro non ebbero la presenza di spirito di afferrarle e di servirsene come fece il Patrizi del remo e qualche altra avrebbe potuto forse provare la stessa funesta esitazione e lo stesso smarrimento di fronte ad un salvagente, ma ad altre invece avrebbe potuto questo mezzo portare alla salvezza e così si avrebbe oggi un minor numero di vittime da deplorare.
Ed ora poche osservazioni sulla imperizia del Fabbroni: la abilità sua nel saper condurre un canotto automobile la si è rilevata da ciò che egli conosceva i moti a scoppio perché sapeva andare in motocicletta e che era, prima di aver fatto la guardia di finanza, pescatore nel lago Trasimeno.
Sulla struttura e congegni dei due motori, quello della motocicletta e quello del motoscafo, si è asserito che sono presso a poco uguali e di identico maneggio e quindi egli avrà senza dubbio conosciuto il mezzo di porre in azione, fermare, regolare anche quello del battello e su questo si può convenire malgrado sia intuitivo comprendere come occorresse anche conoscere quanto è necessario per il governo del motore applicato allo scafo; quello però che non si può ammettere si è che la sua pratica di pescatore gli conferisse senza altro la capacità di saper condurre un battello come quello di cui è parola e con carico di passeggeri.
Non si nega a qualunque pescatore la conoscenza dello sconquassato barcone su cui per solito naviga, la perizia nel saperlo condurre, la perfetta disinvoltura con cui ci sta, anche quando il tempo è cattivo, ma bisogna pensare che egli vi sta solo o con altri esperti come lui, che non è mai preoccupato, massime in piccole estensioni di acqua, per la sua persona, perché ha sempre la quasi certezza di porsi in salvo con le sue forze, se il zatterone va a picco.
La cosa sarebbe bene diversa però se egli dovesse portare con sé persone inesperte, paurose, impressionabili, non pratiche; la sua perizia, la sua disinvoltura allora a poco gli servirebbero.
Ben altra abilità, ben altra coraggiosa freddezza, ben altra autorità morale occorre quando ad un nocchiero è affidato in momenti che possono diventare anche estremamente difficili, il trasporto di molte persone ed eventualmente la loro salvezza.
Ed è questa abilità speciale, questa autorità morale che al Fabbroni facevano sicuro difetto: che cosa vale che egli abbia guidato in precedenza un leggero canotto adattandovi un motore da motocicletta? Che cosa serve che egli altre volte a Civitavecchia abbia governato un’altra piccola privata imbarcazione automobile?
Egli aveva indubbiamente le attitudini migliori per divenire un condottiero di autoscafi, ma allora non lo era ancora e la prima lezione se la ebbe dal venditore del battello, quando questo venne collaudato e le altre certamente pensava di impartirsele da sé con la pratica e con gli esperimenti che andava facendo, esperimenti però, lo si ripete un’ultima volta, che dovevano essere fatti con ben altre cautele, con ben altre preveggenze.
E che egli non avesse codesta perizia nel governo dei motoscafi comn passeggeri lo dimostra nella luttuosa circostanza; escluso che l’agitarsi delle donne nello scafo fosse improvviso e improvvisa quindi la sommersione ( e ciò per le considerazioni già fatte) rimane sempre che egli non seppe imporsi per tenerle quiete e così impedire il soverchio imbarco dell’acqua e ciò senza tener conto dei vari appunti che pur gli sono stati fatti di non avere resistito al desiderio delle donne di ritornare al punto di partenza e di non avere quanto meno volta la poppa al vento cercando altro approdo, e di avere impressa una soverchia velocità al canotto rendendo così più grave l’ingresso dell’acqua nel suo interno e più certo e rapido il suo affondamento.
Si è fatto agli imputati anche una colpa per inosservanza dei regolamenti, ordini e discipline: il Tribunale non crede però di farne loro carico, essendo dubbio che almeno intenzionalmente tali trasgressioni vi siano state.
Il Lana dapprima varò il motoscafo per uso privato essendo possessore di un pezzo di terra in una delle isole del Lago e quando partecipò tale fatto al Ricevitore del Registro locale che è per legge anche l’amministratore del Lago, questi nulla ebbe ad obbiettargli perché il Motu Proprio di Pio VII tuttora in vigore tale diritto conferisce; quando poi lo stesso Lana gli manifestò l’idea di adoperare il motoscafo stesso per uso pubblico ed espresse il desiderio di essere intanto autorizzato a fare degli esperimenti, il Ricevitore a tale titolo gli diede il permesso: il Lana poi in breve volgere di tempo presentò anche regolare domanda che all’epoca del disastro non era ancora stata accolta, ma che lo fu poco dopo.
Se adunque il Lana e per esso anche gli altri due ebbero il permesso di fare degli esperimenti dalla autorità che tale concessione credeva di poter fare, non violarono né leggo né regolamenti; si è obbiettato che gli esperimenti non furono strettamente tali, perché si impiantò un vero e proprio servizio pubblico a pagamento.
Ora ciò non sembra accertato.
Che gli esperimenti si siano fatti malamente e con una estensione che può far sorgere il sospetto sopra annunziato, sta, ma ciò rientra nell’altro campo delle indagini già esaminate, come non vale ad affermare che si trattò di un vero pubblico servizio istituito in inspregio della legge, il fatto che si facessero pagare poche lire ai gitanti, avendo potuto benissimo questo lieve contributo rappresentare, come si disse, il necessario per sopperire alle spese del combustibile. Non è certo quindi che gli imputati abbiano contravvenuto sotto questo aspetto la legge e perciò di un tale fatto il Tribunale non crede di doversene far loro carico anche nei riguardi per conseguenza della contravvenzione che pure loro venne contestata.
Dichiara Fabbroni Enea, Lana Giovanni e Piastrelli Francesco colpevoli del reato loro ascritto di omicidio colposo come alla lettere a) del capo di imputazione.
Visti gli art. 371 cpv Cod. Pen. 568 C.P.P. li condanna alla pena della detenzione di un anno e mesi sei, nonché alla multa di lira 2200 per ciascuno. In solido ai danni a favore delle parti lese la liquidazione in separata sede ed alle spese processuali.
Visto l’art. 393 C.P.P. dichiara non provata la reità dei suddetti Fabbroni, Lana e Piastrelli in ordine alla contravvenzione di cui alla lettera b) del capo d’imputazione e conseguentemente per tale titolo li assolve.