02 Gen «Le Lac de Trasimène e la carpe monstre». Dal 1860, la cronaca di una gita al Trasimeno
di Louise Colet
La principessa Marie Bonaparte torna a la Viano proponendoci di fare una passeggiata al lago Trasimeno. Partiamo in un pomeriggio caldo su una carrozza scoperta, alla quale sono stati aggiogati tre superbi buoi; non potendo i cavalli portarci sin la cima della ripida salita in cui si trova Castiglione del Lago.
Tutte le strade dello Stato della Chiesa sono così mal gestite che percorrendole ci si può imbattere d’improvviso in grandi pietre, pozze d’acqua o tronchi d’albero, dove i cavalli rischiano d’inciampare, mentre i buoi procedono sicuri con maestosa lentezza. Il nostro tiro ricorda il carro dei re franco merovingi.
Lasciamo dietro di noi la bianca villa della principessa e arriviamo al villaggio di Pozzuolo. Il lago Trasimeno ci appare all’improvviso sulla sinistra nella sua calma estensione, poi lo perdiamo di vista.
La strada è fiancheggiata da grandi querce che incorniciano ginestre e rose in fiore, i tronchi e i rami degli alberi secolari hanno quel fiero aspetto che Salvator Rosa riproduce così bene nelle sue tele. Poco ci importa che la strada sia meno comoda rispetto a quelle della Toscana, ci lasciamo rapire dagli aspetti selvaggi e imprevisti della natura. Frassini giganteschi formano qua e là radure silenziose, il terreno è tappezzato di margherite, papaveri, fiordalisi e ranuncoli.
Dopo un’ora di cammino attraverso questa campagna incantata, i lati della strada si aprono; oliveti si estendono su ogni lato; di fronte a noi c’è Castiglione del Lago coronata dal suo magnifico torrione, come in una fiabesca quinta teatrale; il Lago Trasimeno, incorniciato da bellissimi monti, si dispiega alle spalle del paese; le onde del lago cingono la rupe dove poggia Castiglione per poi spingersi nell’entroterra formando due braccia luminose.
Scendiamo dalla vettura davanti alla porta della vecchia cinta muraria, saliamo per alcune stradine strette e deserte in direzione del torrione; a sinistra, prima di raggiungere le mura del forte, troviamo un grande palazzo, già possedimento dei duchi della Cornia, ora del governo pontificio. Passiamo attraverso diverse stanze decorate con grandi affreschi mitologici dei fratelli Zuccari. Il soprintendente ci fa servire dolci e vino di Montefiascone su una bella terrazza che porta a un passaggio segreto che un tempo conduceva dal palazzo alla fortezza smantellata. Ho modo di vedere le suggestive rovine di questa fortezza di Castiglione del Lago: l’alto muro parzialmente crollato e rivestito d’edera frondosa; la grande torre di un tono dorato che s’eleva al cielo e altre quattro torri più piccole che fiancheggiano i bastioni. Tutto l’imponente edificio si trova alla sommità del colle come su di un piedistallo; il pendio roccioso scende fino alle acque ricoperto da vegetazione lussureggiante e uliveti. In uno di questi uliveti, lungo la costa, si trova una cisterna vicino alla quale pascolano buoi dalle grandi corna lucenti. Una ragazza a piedi nudi con una gonna rossa e una camicia écru, vi attinge l’acqua con un secchio di rame agganciato a una catena; un’altra ragazza è appoggiata sul bordo, occhi neri molto luminosi e capelli crespi raccolti alla greca, parla con un bel contadino che la guarda amorevolmente. Vorrei essere un pittore per riprodurre questo quadro.
Barche da pesca sono ormeggiate nel fango a pochi passi da noi. La principessa sceglie la più grande, passiamo su una tavola gettata sul melmoso e infido terreno e ci imbarchiamo; ci guidano otto rematori; una vela latina si dispiega in aria, prendiamo il largo, e presto possiamo cogliere l’intera superficie di questo bellissimo lago Trasimeno che risveglia i nostri ricordi classici, evocando l’ombra di Annibale.
Le acque azzurre e tranquille, illuminate dal sole al tramonto, descrivono un cerchio quasi perfetto, fiancheggiato da colline su cui monasteri, borghi, torrioni e ville si mettono in mostra, il loro candore spicca sul verde cupo delle querce e dei pini.
Ecco il Borghetto, dice uno dei nostri rematori, indicandoci una torre in una gola del Gualandra, sulla riva lontana, a sinistra della spiaggia dove ci siamo imbarcati. Questa torre, vicino alla strada di Cortona, domina il campo di battaglia dove Annibale sconfisse Flaminio e le legioni romane. “La furia e l’impeto dei due eserciti furono così grandi, ricorda Tito Livio, che così presi dalla battaglia, nessuno dei combattenti si rese conto del terremoto che in quel momento radeva al suolo diverse città d’Italia, cambiava il corso dei fiumi, faceva fluire il mare nei loro letti, e faceva cadere montagne molto alte”. La morte di Flaminio, ucciso dopo tre ore di eroica difesa, in questa battaglia memorabile, fu il segnale della completa sconfitta dei romani. La cavalleria cartaginese caricò i fuggiaschi; le gole, le colline, le paludi che circondano la torre del Borghetto, il lago e un piccolo ruscello, che scende dal Gualandra e da allora chiamato Sanguinetto (il ruscello sanguinante), furono coperti dai morti. Scavando la terra nei pressi del Sanguinetto, sono state trovate molte ossa umane che ancora attestano l’immane carneficina; queste funeree vestigia ne perpetuano la memoria tra i contadini: tutti qui conoscono il nome di Annibale e lo mormorano con un certo terrore passando nei pressi della torre del Borghetto.
Mentre si risvegliano questi ricordi storici, la nostra barca scivola rapida sulla calma superficie del lago.
“Forse tra un anno, dico alla principessa, dall’altra parte del lago, vicino a Perugia, l’esercito pontificio, comandato da Lamoricière, sarà a sua volta sconfitto dall’esercito dell’indipendenza.
– Lo spero, risponde la principessa; ma, aggiunge ridendo, la sconfitta sarà più facile e meno gloriosa di quella delle legioni romane, perché non credo nell’eroismo delle truppe straniere e mercenarie corrotte dalla tirannia”.
Ci manca il tempo per fare tutto il giro del lago Trasimeno. Procediamo solo un po’ oltre, al largo dalla roccia ombrosa su cui sorge la cittadella. Arrivati a metà della base, vediamo il lago e tutta l’estensione delle sue rive svolgersi davanti a noi; a nord sono le due isole Maggiore e Minore, nella prima vi è un bellissimo monastero che con la sua sagoma si staglia nell’etere. Un’altra isola, l’isola Polvese, la più grande delle tre, sembra fluttuare a sud-ovest [sud-est N.d.R.] come una zattera di vegetazione; l’antico castello che la domina ci appare sospeso tra cielo e acqua.
Le tinte del sole al tramonto fanno diventare rossa una parte del lago, mentre l’altra già si oscura sotto il crepuscolo. La nostra barca supera il paese; il timoniere propone di portarci alla riserva dove sono rinchiusi i migliori pesci; ci parla di una carpa straordinaria che è stata pescata nel lago i giorni precedenti.
“Se è in vendita, la compro”, risponde la principessa.
La barca entra in un dedalo di ninfee che allargano sui flutti le loro grandi foglie e le loro corolle bianche o gialle. Noi formiamo grandi mazzi di questi fiori acquatici cospargendone il fondo della barca; ci fermiamo giunti ai pali e alle reti che chiudono la riserva. I pescatori ne sorvegliano l’ingresso; subito cercano l’enorme carpa. Ecco il re del lago, dice uno di loro portandola in trionfo. L’affare si conclude rapidamente; la carpa viene posata ai nostri piedi; balza sul letto di ninfee; fiuta il suo elemento dove vorrebbe rituffarsi. Povera bestia! domani è destinata a morire in un brodo saporito.
Sbarchiamo in un oliveto e torniamo alla strada dove ci attende la carrozza; siamo accompagnati da una scorta di mendicanti, vecchi, donne e bambini cenciosi che emergono inaspettatamente dai cespugli bramando la carità.
“Ecco una delle piaghe dello Stato della Chiesa, dice la principessa, in Toscana l’accattonaggio è quasi sconosciuto, ma, quando il lavoro manca, i poveri hanno diritto alla carità”. E con questa partecipe bontà, che la rende adorabile, fa distribuire bajocchi a tutti questi sfortunati.
Torniamo a la Viano in una notte stellata, la luna è sospesa sugli alti rami delle querce; vaghe luci filtrano attraverso il fogliame e gettano il loro candore sulla strada, il conducente e il valletto cantano una malinconica canzone contadina che ci culla; i buoi ci trascinano lentamente; tutto è quiete intorno a noi, un’atmosfera soave e carezzevole ci avvolge di serenità e ci versa sin nel fondo del cuore un sollievo che vorremmo durasse per sempre.
- Il resoconto è tratto dal volume L’Italie des italiens par Mme Louise Colet. Seconde partie. Italie du Centre. Parigi 1862, pp. 209-213.[Le lac Trasimène; Castiglione del Lago; Souvenir d’Annibale; La Carpe monstre; Splendeur et calme du soir.]
- L’autrice è la poetessa francese Louise Colet (1810 –1876). Di umili origini, si sposò con il musicista Hippolyte Colet, che la introdusse nella società parigina. Strinse amicizia con scrittori come Victor Hugo, Alfred de Vigny, Alfred de Musset e Gustave Flaubert. Divenne celebre il suo salotto letterario a Rue de Sèvres. Per alcuni fu lei a ispirare il personaggio di Madame Bovary.
- Nel 1860 Louise Colet soggiornò in Italia, dove strinse amicizia con Alessandro Manzoni e conobbe Giuseppe Garibaldi. Nel mese di giugno raggiunse nella villa di Laviano, al confine tra Umbria e Toscana, la principessa Maria Alessandrina Bonaparte (nipote di Napoleone).
- Version française http://www.jeanwilmotte.it/2013/03/excursion-au-bord-du-trasimene-juin-1860-1/ et http://www.jeanwilmotte.it/2013/03/excursion-au-bord-du-trasimene-juin-1860-2/