16 Lug Le reti a maglia semplice e a mantello
di Giovanni Cetti
Alla costruzione delle reti pochi istrumenti abbisognano, e questi sono: alcuni aghi (vulg. gugella) (fig. 43, 44) di legno o di metallo a varie dimensioni, su cui avvolgere il filo; alcuni mòdani (vulg. moèl), i quali sono cilindretti, su cui formansi le maglie, e servono a determinare la grandezza (fig. 45); infine una forbice a punte arrotondate. Le maglie hanno la forma di mandorle o rombi.
Due funicelle, posta l’una superiormente o alla testa, l’altra alla parte inferiore o piede, tengono distesa la rete. I pescatori nelle reti a semplice maglia chiamano tantano la prima, e lómber la seconda. I vivagni delle reti vengono uniti alle cordicelle con alcune maglie di filo più consistente, il quale prende il nome di moutadura, e propriamente montadura de nod quella in alto, e de fond quella al basso. Péttola dicesi l’estremo lembo della rete, mèrgola quel bastoncello sul quale si sciorina. Alla testa della rete si attaccano dei pezzetti di sovero (soeugher), o dei pezzetti di legno (libi) di scorza di faggio, ed al piede delle mázzere consistenti in piccoli ciottoletti appianati, od in palle forate di di piombo.
I fabbricatori di reti due modi usano per misurarne la lunghezza: a centinaio ed a spazio. Stretta la rete insieme, e tenendola tesa, cento gruppi o nodi formano un centinaio, il quale corrisponde a cinquanta maglie. Per ispazio s’intende quella porzione di rete compresa fra gli estremi delle braccia aperte d’una persona di statura ordinaria, e corrisponde a circa un metro e mezzo. Se le maglie di una rete sono alquanto più grandi delle comunemente usitate, allora le reti diconsi chiare.
Generalmente le reti si tingono di un colore castano chiaro. Si prendono le scorze delle castagne diseccate al fumo sui graticci, si fanno bollire nel ranno che servì pel bucato, per tre o quattro ore, indi vi si immergono le reti umettate, e dopo qualche tempo si estraggono e si fanno asciugare. Questa tintura di poca spesa e di facile esecuzione reca molti vantaggi; le reti riescono meno visibili nell’acqua, si conservano per maggior lasso di tempo, e quelle di seta perdono quei piccoli filamenti che fanno attaccare l’una all’altra maglia.
Qui desiderava descrivere il metodo pratico, sì per costruire di nuovo le varie reti, come per aggiustarle; ma dovendo a tal uopo dar la spiegazione di molte frasi e termini vulgari propri a quest’arte, ed essendo necessario un gran numero di figure per rendere la descrizione men complicata, e di facile intelligenza a tutti, sarei stato costretto, o dilungarmi più di quanto s’addice al presente scritto, o dare una descrizione imperfetta, per cui stimai miglior cosa il silenzio. Ed a ciò pure mi consiglia il riflesso, che chiunque voglia imparare la costruzione delle reti, meglio che da un trattato scritto, può con maggior facilità ed in minor tempo apprenderla da persona che eserciti un tal mestiere.
In tre specie si possono dividere le reti che sono in uso sul nostro lago: reti a semplice maglia, reti a mantello, reti a sacco.
Reti a semplice maglia
Messa la rete nellacqua, i soveri ed i pesi fanno sì ch’essa si tenda verticalmente. Il pesce appena dà nella rete, intromette il capo in una delle maglie, e mentre fa per avanzarsi, il filo gli si implica nelle branchie. Il pesce rimane prigione, si dibatte e tenta ogni via per liberarsi, ma sempre più si avvolge nella rete.
Vi sono maglie piccolissime, come quelle per le alborelle, ve ne sono di grandi, come quelle pei pighi; in generale esse corrispondono alla grossezza ordinaria del pesce, cui la rete è destinata a prendere.
Varie sono le sorti di reti a semplice maglia, alcune sottilissime e di seta, altre più forti e di filo. Le più fine richieggono maggiori riguardi nel metterle in acqua. Appena levate e sciorinate sulla mergola, si lavano scuotendole nell’acqua, onde toglier loro quel limo che dal più al meno quasi sempre depone il lago, in causa delle torbide de’ suoi confluenti; indi si fanno asciugare per conservarle maggior tempo. A tal uopo si piantano sulle spiagge, od in luogo piano, dei pali verticali con alla cima dei cavicchi trasversali, a cui si appendono la tántana e si distendono le reti. Alcuni paletti conficcati in un muro servono allo stesso scopo.
I. Alboreto. (vul. arborea). Dall’argentina alborella questa rete riceve il nome. È di seta e le sue maglie sono molto strette, formando un rombo di nove millimetri circa di lato (fig. 46). Se le maglie sono alquanto più larghe delle ordinarie diconsi chiare. Due sorta di alboreti si distinguono, alti e bassi.
Gli alboreti alti sono lunghi 60 centinaia, ed hanno 300 maglie in altezza. Messi in acqua galleggiano. Si pescano nell’estate, nei mesi di aprile, maggio e giugno, ed anche sulla fine di autunno nei mesi di novembre e di ottobre. Quando il lago è tranquillo, le alborelle a sciami vengono alla superficie delle acque, in vicinanza alla riva, e predando i piccoli moscherini od altro, che vi si trovi, par vi cada una minuta pioggia. L’attento pescatore da lontano le scorge, e le distingue dagli altri pesci; loro si avvicina colla barca, e seduto sulla prora, lestamente cala in semicircolo la rete nel lago, cerchiando nel mezzo i pesciolini. Comunemente si calano due alboreti uniti, alle cui estremità si attaccano delle zucche galleggianti, per sostenerli. Messa la rete, i pescatori entrano colla barca nel mezzo, fra la rete e la sponda, e percuotendo l’acqua coi remi, facendo strepito, mettono in fuga le alborelle, le quali fuggendo danno nelle reti e vi restano accalappiate. Si leva tosto la rete ¡nargentata di pesci, e si sciorina sovra la mérgola, avvertendo di ben collocare i ciottoletti che sono al piede, onde non incroseggino fra loro, e di nuovo si possa senza perditempo calarla nelle acque, non appena si presenti propizia l’occasione.
Gli alboreti bassi sono poco usati, ed hanno la medesima lunghezza degli altri, ma in altezza contano solo 75 maglie. Posti nell’acqua calano al fondo. Si pescano sulle rive, e principalmente là dove le arborelle sono uscite alla frégola. Vi si lasciano la notte, e si levano la mattina.
Gli alboreti però sono di un gran danno alla propagazione delle alborelle, poiché durante il frégolo prendono sovratutto le femmine piene di uova, mentre ¡ maschi che sono più piccoli se ne vanno liberi, per cui ben provvide la legge da pochi mesi pubblicata, la quale ne proibisce l’uso dal 15 aprile al 15 giugno, e nelle altre stagioni prescrive che le maglie abbiano i lati non minori di nove millimetri e mezzo.
Nelle Grida Comasche dei secolo XVI, oltre l’alboreto comune, dettovi arborario, trovansi nominate due altre reti per la pesca delle alborelle, detta l’una arbora morta, l’altra truta colla coda. La prima veniva al tutto proibita, la seconda era permessa solo per le alborelle. Non conosco alcuna descrizione di queste antiche reti, ma forse la prima non era molto differente dagli alboreti di seta che si usano oggidì; e furono proibite, perché essendo finissime, faceano troppo strage di pesci, come indica lo stesso suo nome. La truta con la coda doveva essere il nostro linarolo a cass spess, o qualche cosa di simile.
II. Pendente (vul. pendent). – Chiamasi pendente una rete di pescare gli agoni. È di seta e le sue maglie formano un rombo di circa 15 millimetri di lato (fig. 47). La sua lunghezza è di 24 a 25 centinaia, ed ha in altezza 150 maglie. I soveri alla testa distano fra loro circa 60 centimetri, ed i sassi al piede sono tali che la rete sopra nuoti e galleggi. In tre modi si pesca col pendente: a riva, al volo ed in cobbia; i due primi solo al tempo della frégola degli agoni, il terzo per più lungo tempo.
A riva si pesca tanto di giorno che di notte. Un estremo della rete si assicura vicino alla sponda, e perpendicolarmente a questa si cala nelle acque, e l’altro estremo si ripiega in forma di semicerchio. Questo volgarmente dicesi cappino, e la parte tesa perpendicolarmente alla riva chiamasi scesa. Il cappino è indispensabile, poiché quegli agoni che toccando la rete non vi restano prigione, presi da subita paura fuggono precipitosamente verso l’alto del lago, ma di nuovo incappano nella rete che forma il cappino, il quale è sempre la parte in cui si prende la. maggior quantità di pesci.
Là dove la riva di molto s’innoltra, come a Lezzeno, si usa porre due o tre pendenti l’uno in seguito all’altro, facendo ad ognuno il proprio cappino. Quel paese al tempo della frégola degli agoni ne fa gran strage ogni giorno.
Al tramonto depongono quei terrazzani le reti nel lago, e vanno a levarle in sull’alba. Grazioso spettacolo vedere quel lungo e svariato lido animarsi in ogni banda, chi tira dall’acqua le inargentate reti, chi le sospende alle leggere gondolett, e intanto un affacendarsi, un alzar di voci e di canti, che con più giocondità non può. esser rotto il silenzio della tranquilla notte. [1]
Quando il pescatore vede brulicare alla superficie delle acque sciame, d’agoni, loro si avvicina e cala le reti in semicircolo, cercando di cingerli nel mezzo. Comunemente si calano due pendenti uniti, e si levano dopo poco tempo. Questo dicesi pescare al volo.
I pendenti si pongono .anche a lato del linaio vicino alla riva, e si prendono quegli agoni che retrocedendo sfuggono dal linaio stesso.
Per pesare in cobbia si usano molti pendenti uniti, non meno di 15, né più di 25. Si pescano circa dalle feste di Pasqua sino verso Natale. Sulla sera si calano nell’alto del lago, e rimangono sospesi poco sotto la superficie delle acque sostenuto da soveri e zucche attaccate a cordicelle. Il lago talora li porta assai lontani dal luogo in cui vennero messi, perciò i pescatori vi attaccano un’assicella, sulla quale è ripiegata ad arco una bacchetta, e fra questa vien tesa una cordicella, a cui sta attaccata una bronza (vulg. cioca – fig. 48). L’onda sommovendo l’assicella fa suonare la bronza, che col suo tintinnio avverte il pescatore del luogo ove il lago ha trasportato le reti. Scorrendo il lago di nottetempo più volte ti sarà avvenuto di udire questo monotono tintinnare, che rassomiglia a quello delle giovenche che vanno pascolando nei prati. La mattina in sull’albeggiare il pescatore va in cerca
delle sue reti, e le leva dalle acque, talora lucenti di abbondante preda.
Sonvi pure i pendenti così detti mantellati, i quali sono simili, agli altri, solo che nel pescarli la rete non resta distesa, ma col mezzo di una funicella, o mantello vien disposta in modo di formare una serie di borse, più grandi di quelle che si formano nei tremaggi, nelle quali borse entrano gli agoni prima di restar avviluppati nelle maglie. Questi pendenti però non presentano grandi vantaggi, e sono perciò poco usitati.
I pendenti trovansi nominati sovente nelle antiche leggi sulla pesca. La nuova legge prescrive che i lati delle maglie abbiano la lunghezza almeno di 15 millimetri, e che dai primo di maggio al quindici dl luglio non si possino pescare che solo tre giorni la settimana, cioè dall’aurora dei mercoledì all’aurora del sabato.
III. Pezzuola (vulg. pezoèula). – Questa rete è di seta, ha maglie eguali a quelle dei pendenti, e serve pure a pescare gli agoni. La sua lunghezza è comunemente di 20 spazi, ed in altezza ha 30 maglie. Invece dei soveri porta dei pezzetti di legno (libi) di scorza di tiglio, appianati con un foro nel mezzo, attraverso il quale si fa passare la funicella detta testa. Si pesca con questa rete ai tempo della frégola degli agoni, e si cala al fondo del lago In vicinanza alla sponda, perpendicolarmente alla sponda stessa, verso sera, e si leva la mattina. Vi si attacca un segnalo per poterla facilmente rinvenire. In forza della nuova legge sulla pesca questa rete deve avere le maglie uguali a quelle dei pendenti, e non si può pescare che dall’alba del mercoledì a quella dei sabbato di ciascuna settimana.
IV. Rozzolo (vulg. rozoeu). Anche il rozzolo serve a prendere gli agoni. È simile alla pezzuola, con maglie alquanto più grandi; ha l’istessa altezza di 50 maglie, ma è lungo 50 spazi. Nei mesi di agosto a novembre si pesca al fondo del lago, ove gli agoni si ritrassero dopo la frégola, e nuovamente impinguarono, ed anche nel mese di maggio poco prima che gli agoni incomincino andare in frega. Si cala la mattina, e vi si lascia tutto il giorno a molta distanza dalla riva in quei luoghi, ove il fondo del lago è piano o poco inclinato e non scoglioso, col mezzo di una lunghissima funicella, detta filagno, che mette alla riva. Talora vi si prende anche qualche trota, che nell’inseguire gli agoni dà nelle reti, e vi si attacca coi denti e colle branchie. Il rozzolo serve a prendere gli agoni grassi. Nelle antiche Grida è chiamato anche beazolo.
V. Pigarolo (vul. pighiroeu). – Il pighirolo è la rete che serve a prendere i pighi al tempo dei loro amori. E di lilo a maglie grandi, che formano un rombo di circa 45 millimetri di lato (fig. 49). La sua lunghezza varia secondo i luoghi in cui si vuoi pescare, ma è sempre piuttosto piccola: 14o 15 maglie ne formano l’altezza. Si cala al fondo dei lago in vicinanza della riva, ove i pighi sogliono bazziccare per deporre le uova, sia perpendicolarmente, sia parallelamente alla sponda. Vi si lascia la notte ed anche più giorni. Nel levarla dal lago si deve avere molta attenzione e prontezza, tanto più quando vi si trovano due o tre pighi, poiché è facile che qualcuno se la svigni.
VI. Perscghera. – Questa rete serve a pescare i pesci persici e si usa nell’inverno dai Santi alle feste di Pasqua. E di filo, lunga un 40 spazi, ed alta 20 maglie, che formano un rombo di circa 21 millimetri di lato (fig. 50).
Si uniscono insieme molte di queste reti, da 30 a 40, e si pongono nelle acque a molta profondità, calandole a zig zag, mollemente e parallelamente alla sponda, in sulla sera per levarle la susseguente mattina. Pescansi pesci persici quasi tutti della stessa grossezza. È più utile pescare con una tal rete, là dove il fondo del lago è scoglioso e coperto di grossi ciottoli, che servono di nascondiglio ai pesci.
VII Panterna. – La panterna è una rete usata nella parte superiore del lago, di filo forte, e simile alla perseghera, ma di maglie più grandi. Pesca al fondo e serve a prendere in primavera tinche, lucci e cavedani.
VIII. Oltana (vul. altana o oltrarna). L’oltana è una rete simile dl maglie al pighirolo, di filo forte, alta sei metri e lunga dodici. Si adopera nei mesi di marzo, aprile e maggio, allo scuro di luna, per prendere pighi, trote e cavedani. Unite fra loro un 15 o 20 oltane si pongono nel lago sotto l’acqua un 2, o 5 metri, sostenendole con zucche e soveri, come si pratica nei pendenti in cobbia.
IX. Oltanaza. – Rete usata nella parte superiore del lago, simile all’oltana, ma di lino più sottile, e a grandi maglie. Con essa si prendono lucci, cavedani, pighi e trote, e si pone in lago sulla corona, facendovi il cappino, come nei pendenti a riva. È poco usitata.
X Zecche. – Con questo nome si chiama una rete simile alle precedenti, alta un metro, lunga 24, con maglie come quelle del pighirolo. Pesca al fondo, e vi si attacca un grosso sasso, acciò il pesce non la porti via. Prende carpioni, barbi e simili pesci.
Reti a mantello
Queste reti constano di tre ordini di maglie, e diconsi perciò tremagli o tremaggi. Fra due reti eguali di filo a grandi maglie, dette, mantello od armadura, v’e un’altra rete di filo o di seta, detta redina, cui maglie variano a seconda delle qualità delle reti, ed è molto più alta del mantello, il quale determina l’altezza del tremaggio. Il pesce entra in una delle grandi maglie del mantello, incontra la redina, la spinge e questa scorre sì che il pesce si trova penzolone in una specie di borsa. Sono simili alle reti per gli uccelli.
Al piede sonvi attaccate molte palle di piombo forate, acciò prestamente cali al fondo, ed alla testa sonvi dei soveri per tenerla distesa e verticale. Prima di pescare, si deve avere l’avvertenza di montare i tremaggi, cioè di tirare mollemente la redina nella parte superiore del mantello, poiché altrimenti la redina resterebbe distesa ed il pesce urtando in essa, e questa non cedendo, non potrebbe entrare nella borsa, epperò retrocedere e fuggiro.
I. Tremaggio (vul. tremagg). – Questa rete chiamasi tremaggio chiaro od anche semplicemente tremaggio o tremaglio. La redina può essere di seta o di filo sottile, ed ha in altezza 420 maglie, della grandezza circa delle maglie dei pendenti; il mantello è di filo di lino forte ed ha undici corsi di maglie. Quando la rete è montata è alta circa un metro. Si sciorina sopra un bastoncello, detto mérgola, introducendo questo fra la montadura de nod e la testa della rete. Ecco come si pesca con esso.
Il pescatore sta in piedi sulla prora di un battello, e colla sinistra tiene la mérgola a cui sta sospesa la rete, e nella destra prende alcuni metri di rete. Un esperto barcaiolo va vogando a due remi presso la sponda, e quando il pescatore crede opportuno, getta la rete che tiene nella destra verso la riva, indi lascia scorrere mano mano tutta la rete nel lago, in guisa che la fine del tremaggio giunga presso a poco vicino alla riva. La rete tosto cala al fondo, e il pescatore si porta colla barca fra la sponda e la rete, getta qua colà alcuni sassi, e con una pertica, al cui estremo è attaccato un uncino di ferro, fruga tra i sassi, e fa rumore per mettere in fuga i pesci ch’ivi si trovassero, i quali fuggendo danno nella rete. Se il luogo ove si getta il tremaggio fosse molto profondo, allora vi si attacca una lunga funicella con all’estremo una zucca, e per fugare i pesci si adopera un ciottolo attaccalo ad una fune mediante un anello di ferro.
I luoghi più opportuni per pescare al tremaggio sono quelli, in cui sonvi molte erbe acquatiche, ovvero dei grossi ciottoli, i moli e le vicinanze ai muri vecchi e diroccali. Si pesca in tutte le ore del giorno, ma con miglior profitto la notte. Si prendono tutta sorta di pesci, e principalmente pesci-persici, tinche, lucci, ecc. Un sol tiro può talvolta produrre quaranta e più chilogrammi di pesci.
I cavedani sono molti astuti (i caveden ghe veden. Prov.) e per prenderli si deve usare due tremaggi che si gettano l’uno concentrico all’altro, alla distanza di qualche metro. Se una sola fosse la rete, il cavedano non appena si vede insidiato, sale a fior d’acqua e spiccando un salto, oltrepassa la rete e se ne fugge. Non di rado avviene che di notte tempo navigando vicino alla riva, principalmente quando soffia il vento, questo pesce atterrito, credendosi circondato dalla rete, dà un salto per sorpassarla, e cade talvolta nel mezzo della barca. Quando le reti sono due, salta egli la prima, ma si accalappia nella seconda. Se si getta un sol tremaggio, conviene gettar tosto fra questo e la riva, parallelamente allo stesso, una pertica od un remo, ed il cavedano, credendolo la rete, lo salterà, ma resterà preso nel tremaggio.
La pesca del tremaggio è una pesca tanto dilettevole quanto utile, poiché la rete si leva appena gettata, e raro è che non si faccia presa di molti pesci. Chiamasi tremaggiada tanto l’atto di gettar nell’acque e levare la rete del tremaggio, quanto la quantità dei pesci che si prendono in un sol tiro.
Il tremaggio si usa porre anche di notte a zig zag, a poca distanza dalla riva perpendicolarmente alla sponda, vi si lascia sino la mattina, e si prendono lucci e tinche al tempo dei loro amori.
II. Tremaggino (vulg. tremagin). – Il tremaggino è simile al tremaggio, ma è alquanto più basso, e la redina ha maglie più piccole dell’alboreto. La sua lunghezza è di 34 centinaia e mezzo: l’altezza della redina è di 120 maglie: il mantello ha nove corsi di maglie. Questa rete con cui pescasi come col tremaggio, prende ogni sorta di pesci, ma serve principalmente a pescare le alborelle al tempo della frégola.
In giugno e in luglio avviene la frégola delle alborelle, le quali vanno deponendo le uova sulle riviere ghiaiose, ed amano in ispecial modo le ruvide scaglie calcari che dalle pietriere vengono gettate nel lago. Bello è il mirare questi vaghi pesciolini darsi all’amore: il loro numero è maggiore dell’esercito di Serse; il Iago annerito ne formicola, per tutto un ire un redire, per tutto un urtarsi, un luccichio. La femmina vien circondata, corteggiata dai maschi che in frotta camminano con lei, e se questa s’introduce fra l’un sasso e l’altro, deponendo le uova, tosto succede un parapiglia, un confuso affollarsi, una gara di maschi per fecondarne le uova; poscia vedi qua là qualche squametta da esse perduta, e non di rado mi venne fatto di vederne alcune che nel furor della mischia diedero in secco. Mentre questi poveri innamorati sono intenti a sollazzarsi, altri pesci danno loro la caccia. Vedi il persico lanciarsi nel loro mezzo e ingoiarle belle e intiere; fuggono le altre e intorno a lui formasi un largo; egli si sofferma alquanto, indi di bel nuovo si getta sovra esse, e così via via finché il suo stomaco può capirne. Il cavedano ne va mangiando le uova, e spesso ama dar di piglio a qualche alborella. Anche la serpe d’acqua (Natrix terquata? Bnp. Mezz.) trova quivi il suo pasto, e appiattata fra i sassi sporge solo la testa, guizza la lingua, e quando le poverelle le si avvicinano dessa le trangugia. Io stesso una ne uccisi, che aperta, vi trovai tredici alborelle ancora intatte e palpitanti.
Quando si adocchia una di queste frégole, vi si avvicina col battello, e si getta il tremaggino procurando di cerchiarle nel mezzo. Colla pertica si percuote l’acqua, si fruga fra i sassi, e tosto si leva la rete. In un sol tratto o tremaggiada si prendono molte libbra di alborelle. Dopo qualche tempo, a poco a poco le meschine che sfuggirono la morte, ritornano in sulla riva ai loro amori Si getta di nuovo la rete, e si continua finché sonvi alborelle.
Più facilmente si pescano e se ne prende maggior quantità di nottetempo, poiché allora non vedendo esse l’avvicinarsi della barca, non se ne fuggono. Non è gran tempo che un pescatore ne prese più di cento chilogrammi in una sola notte. Al tempo della frégola delle alborelle, ossia dal 15 aprile al 15 giugno, questa rete è dalla nuova legge proibita.
Si prendono anche triotti, scàrdole e simili pesciolini, in sulle rive ghiaiose, quando dai loro nascondigli escono a prendere il sole.
III. Sevesino (vulg. sevesin). – Il sevesino che riceve il nome dal torrente Seveso, è una rete che si usa sul nostro lago, ed è in tutto simile al tremaggino, se non che ha le maglie della redina alquanto più grandi. Si usa come il tremaggio e il tremaggino, e serve a prendere i pesci di media grossezza.
Quando le leggi sulla pesca prescriveano che il tremaggino avesse le maglie di una data dimensione, allora venne introdotto il sevesino, che presentemente è caduto quasi in disuso, poiché tulli si servono del tremaggino, il quale avendo maglie strettissime prende fin i più piccoli pesciolini.
IV. Remantellata. – Simile alle precedenti, ma più grande, è la remantellala o rete mantellata. Le maglie eguali a quelle dei pendenti, sono 125 in altezza della redina, la cui lunghezza è di 40 centinaia; il mantello ha 15 corsi, ed è alto circa due metri. Sonvi le remantellate dette di bottatrice, che sono di filo; quelle che servono per gli agoni sono di seta.
La remantellala di bottatrice si cala al fondo del lago, come si pratica dei tremaggi alla pesca dei lucci. Quella degli agoni dai pescatori suolsi tenere fra il linaio e la barca, quando il caso vuole che cingano numeroso sciame di agoni. Anche i dilettanti la tendono vicino alla barca dei pescatori per prendere quegli agoni che ad essi sfuggono.
[1] Monti, Ittiologia ecc.
- Questo brano è tratto dal volume dell’Ing. Giovanni Cetti, Il pescatore del Lario, descrizione delle reti e dei vari generi di pesca in uso sul lago di Como, pubblicato a Como nel 1862, dagli editori Carlo e Felice Ostinelli, pp. 72-89.