02 Feb Quale fu l’uso di dirlindane e spaderne sul lago di Como
di Giovanni Cetti
Chiamasi dirlindana o tirlindana, ed in alcuni paesi del lago anche molegna, una lunghissima lenza, la quale si adopera stando in una barchetta e tirandosela dietro nel lago. Lunghesso il filo si attaccano varii pezzetti di piombo, acciò cali al fondo. ll saper ben coprir la lenza di piombi, e distribuirli convenientemente sulla sua lunghezza, è cosa della massima importanza, e dalla quale dipende sovente la maggiore o minor presa di pesci. Dal pesce cui è destinata a prendere, riceve dessa il nome, e sul nostro lago si usano dirlindane di pesce-persico, di trota e di luccio.
I. Dirlindana di pesce-persico
Questa può essere di seta, di filo, di setale e d’altro; ma qualunque ne sia la materia è bene sia intrecciata, perché più difficilmente si attorciglia nell’usarla. Si adopera pure il filo di rame o di ottone, il quale se dall’una parte presenta molta fortezza, dall’altra richiede troppo cura nel pescare, poiché se si torce troppo rigidamente, di leggieri si spezza.
La sua lunghezza varia dai 20 ai 40 metri. I pezzetti di piombo devono essere giudiziosamente ripartiti lungo la funicella, in modo che né troppo galleggi, né vada troppo rasente il fondo. Un po’ di pratica ti ammaestrerà meglio di qualsiasi teorico insegnamento. All’estremo che porta l’amo, vi si attaccano varii peli di setale, forti e bene annodati, l’altro si lega ad un arnese sul quale si avvolge il filo della lenza.
Questo arnese è una specie di arcolaio, e consta di due listicelle di legno, le quali alle due estremità e nel mezzo sono forate (fig. 31 a); nei due fori estremi s’intromettono due bacchette cilindriche e fisse in guisa di formarne un quadrato, e nel foro di mezzo si fa passare un’altra bacchettina di legno o di ferro, con attaccatovi un piccolo manico, la quale serve di perno intorno a cui può girare l’istrumento (fig. 31 b). Questo arnese ha il vantaggio di lasciar asciugare prontamente il filo, poiché l’umidità produce una fermentazione, i cui effetti, benché non visibili aIl’occhio, sono di grave danno alla durata della lenza.
Per avvolgere la dirlindana si ponno usare anche due assicelle, unite fra loro da quattro o più cilindretti di legno (fig. 32); oppure una grossa canna, lunga un 25 centimetri, tagliata concava alle due estremità (fig. 33).
Per innescar l’amo della dirlindana o melegna, si usa un’alborella od altro pesciolino vivo; ma non avendolo, serve egualmente bene un pescetto di argento o di madreperla (fig. 34), un pesciolino artificiale di stoffa o di guttaperca (fig. 35), ovvero un pezzettino di pelle bianca, che tu taglierai a foggia di pesce (fig 36). Si usa pure un piccolo arnese in forma di conchiglia, o più propriamente, come la metà di un uovo di piccione, detto da noi scudellino, il quale è di rame inargentato internamente, ed annerito nll’esterno. Fra esso ed il setale della lenza si pone una macchinetta girevole o smeriglione, e all’altra parte della conchiglia si attacca un amo doppio o triplo (fig. 37). È tanta la voracità dei pesci che basta per prenderli legare all’amo due piumicine bianche. Con queste o colla pelle se ne prendono facilmente, ma sono quasi tutti piccoli.
Per attaccare all’amo il pesciolino vivo, si fa passare l’amo due volte nelle sue labbra, e traendo quasi tanto filo quanto è lungo il pesce, lo si infilza verso l’estremità della coda; ovvero si attaccano alla dirlindana due ami, lontani circa un cinque centimetri l’uno dall’altro, ed il primo s’infilza nelle labbra, ed il secondo nella coda del pesce. Se al pesciolino si taglia una delle alette che stanno dopo le branchie, esso nuotando solo da una parte continua a girare intorno a se stesso; il che serve a viemeglio allettare i pesci, e tien luogo delle macchinette girevoli.
Il tutto apparecchiato, ora altro non ti rimane, che salito sopra un burchiello, porre in opera la dirlindana. Mentre il barcaiuolo spinge innanzi la barchetta, tenendola a poca distanza dalla riva, tu seduto vicino alla poppa, getterai l’amo inescafo nelle acqua, e dipannando la funnicella a poco a poco, la lascerai cadere nel lago, e tenendola fra i polpastrelli del pollice e dell’indice, di continuo la tirerai innanzi e indietro. Fatte poche regate, tu sentirai il filo dare una piccola scossa; è il pesce che per telegrafo ti avviene; che vittima della propria ingordigia rimase tuo prigione; Fa soffermare tosto il battello, e lieve lieve tira a te la cordicella, inaspandola sull’istrumento, o deponendola in circolo sulla poppa, e tosto tu vedrai di lontano a fior d’acqua guizzare il pesce. Lo avvicinerai alla barca, poscia destramente sollevandolo, o meglio con un piccolo sibiello, lo trarrai in barca. Avverti che nel tirare il pesce vicin vicino, non si deve mai rallentare il filo, altrimenti il pesce potrebbe rigettar l’amo e fuggirsene. lnescherai di bel nuovo l’amo, sene è privo, lo getterai nelle acque ed in breve farai buona preda di pesci-persici.
Talora sentendo tirare, potrebbe non essere il pesce, ma bensì l’amo attaccatosi a qualche erba o scoglio. Non ponendosi arrestare sull’istante la barca, se tu tiri forte, corri rischio di rompere e perdere parte della lenza. A ciò prevenire, si deve Avere l’avvertenza di non dipanare tutta la cordicella. Non appena ti accorgi essere l’amo attaccato al fondo, lascerai scorrere nel lago la lenza finché la barca si fermi e ritorni indietro, che se il filo non bastasse, getterai nel lago l’arnese a cui è attaccata, il quale perciò deve essere galleggiante.
Con un po’ di tempo e di pazienza facilmente ti riescirà a staccarnelo. Che se la lenza si rompesse, e lungo tratto di filo rimanesse nel lago, si può pescarlo con una cordicella, a cui sono attaccati ad intervalli degli uncini di ferro, o dei chiodi ricurvi, od anche solo dei ciottoletti. Colla barca fa di spingerti verso l’alto del lago al di là della lenza perduta; cala la corda armata di uncini; poi voga perpendicolarmente alla sponda sino alla riva facendo sì che gli uncini striscino sempre rasente il suolo. Replicando più volte questa manovra, è raro che la lenza perduta non venga ritrovata.
Questa pesca è assai comoda e dilettevole. La stagione migliore per usarne è dopo la frègola dei pesci persici, alla mattina per tempo, e la sera posto il sole. Le giornate piovose, e minaccianti temporale sono favorevoli a tal pesca. La più parte dei pesci, che si prendono, sono persici; però vi si attaccano sovente cavedani, ed altri pesci, e raramente anche qualche grosso agone.
II. Dirlindana di trota
Questa deve esser lunga più di 100 metri, e deve essere assai forte; e perciò si fa generalmente di seta a più doppi, intrecciata. È bene sia resa impermeabile all’acqua, ossia inverniciata, perciò bagnandosi sovente, né potendo asciugare prontamente, essendo i fili gli uni sovraposti agli altri, potrebbe facilmente guastarsi. Tale inverniciatura si usa anche per le cordicelle delle altre dirlindane.
Per questa dirlindana sono necessarie alcune macchinette o smeriglioni, i quali si possono usare con vantaggio anche per le altre. Questi smeriglioni constano di un pezzetto di ferro oblungo con una apertura pure oblunga nel mezzo, e forato alle due estremità. Nei due fori s’introducono due fili di ferro, di cui l’estremo, che volge nell’interno, si ribadisce in guisa però che possa girare, e l’esterno si piega a formare un piccolo anello, e lo si attorciglia intorno al gambo (fig. 38). Questa macchinetta è usata da lungo tempo presso gli Inglesi: da noi si conosce da pochi anni, poiché dapprima solo alcuni ne usavano come un segreto e con grande vantaggio alla pesca della trota. Essa serve a far sì che l’esca giri continuamente, e meglio possa allettare la trota, e che il filo non possa attorcigliarsi; il che facilmente avverrebbe nel bagnarsi, essendo molto lunga. Ve ne sono di varie grandezze, e nelle dirlindane se ne applicano due o tre, ma tutte verso l’estremità che porta l’amo. La funicella si attacca agli anelli della macchinetta con un nodo.
Questa lenza è armata di molti ami, attaccati a due a due, a tre a tre, circa quattro o cinque centimetri gli uni distanti dagli altri. Se tu li attaccassi al setale, essendo la trota assai forte e ben munita di denti, si correrebbe rischio ch’essa lo rompesse e se la svignasse, per cui si suole attaccar gli ami a delle budella di agnello, su cui è attorcigliato un filo di rame, e propriamente simili alle corde di chitarra (fig. 39). Di queste corde raminate, fornite di ami, se ne tengono varie, nel caso di doverle rinnovare. Dopo queste nella lenza viene il setale, il quale dovrà essere molto forte, ed è meglio che siano due o tre peli uniti. I piombi, devono essere convenientemente distribuiti sulla sua lunghezza, e piuttosto grossi.
Vi attaccherai per esca un agone od un altro pesce, facendo sì che uno degli ami estremi s’inflizi nella coda, indi un altro di quelli che seguono, nel ventre, ed uno degli ultimi si attacchi alle labbra. E sarà bene che quest’ultimo tu ve lo cucisca con refe, turando la bocca del pesce, acciò non possa facilmente staccarsi. Nell’interno del pesce poi s’introduce un pezzetto di ferro lungo poco più di un ago, ¡l quale, curvato alquanto ad arco, terrà ripiegato il pesce, onde questo, opponendo maggior resistenza all’acqua, meglio possa girare ed ingannare il pesce.
Per pescare con questa lenza non si deve andar terra terra, ma attraverso il lago dall’una all’altra sponda. Non di sovente ti verrà fatto di far presa di trote, e forse per più giorni pescherai indarno; ma quando ne prenderai qualcuna, verrai ricompensato nella sua grossezza delle giornate e delle ore inutilmente perdute, e bella occasione ti fornirà ad un buon pranzo da godere in brigata d’amici; che se tu vorrai farne commercio, potrai ritrarne de’ bei quattrini.
Quando ti accorgerai che la trota ha abboccato l’esca, e che vi è attacca, con accortezza la trarrai vicino alla barca, talora lasciandole correr dietro un po’ di cordicella, qualora, essa troppo tirando, si corra pericolo di rompere il filo. Io sono d’avviso che male facciano coloro che senza necessità molto tempo la lasciano girovagare nel lago attaccata all’amo cercando di stancarla; poiché la trota è assai forte, ed alle volte potrebbe, con improvviso sforzo, troncare la lenza e svignarsela. Avvicinata la trota alla barca, o trattala presso la riva, lesto, con un apposito uncino (fig. 40) tenendo teso il filo, la prenderai sotto il ventre e la trarrai in barca. La potrai levare dal lago anche col mezzo di un piccolo sibiello.
Alcuni senza tener fra le mani il filo della dirlindana, hanno trovato modo di essere avvertiti quando ¡l pesce vi si attacca. A tal uopo si tirano varie macchinette o molinelli, su cui si avvolge la cordicella, e quando il pesce abbocca l’esca scocca una molla, che ne rende avvertito il pescatore (fig. 41, 42).
III. Dirlindana di luccio
È simile alla precedente, ma più corta. Il filo deve essere fortissimo e fornito di grossi piombi, acciò non galleggi Gli ami devono essere attaccati a delle budella raminate, poiché altrimenti il luccio, avendo la bocca armata tutta quanta di piccoli ed acuti denti, potrebbe di leggieri rodere il setale.
Si usano pure le macchinette girevoli, come nelle altre dirlindane, per far girare l’esca, la quale consiste in un agone od in un’alborella.
Per pescare con questa dirlindana non si va colla barca presso la sponda, ma a molta distanza dalla riva. Si usano pure i molinelli, e quando il luccio avrà abboccato, si deve avere molta. precauzione e prontezza nel trarlo in barca con un sibielletto, essendo esso molto pesante ed assai forte.
Questa pesca, come quella dalla trota, si fa principalmente nell’inverno ed ¡n principio di primavera.
Spaderna
La spaderna, che in Toscana chiamasi spaderno, in alcuni paesi del lago dicesi anche legnola o sperna. È una lunghissima lenza che porta molti ami detti di spaderna. Comunemente ciascuna porta dai 50 ai 100 ami, distanti l’un l’altro da due a tre metri, e attaccati al filo principale con un bracciuolo di filo lungo un 25 centimetri. La lenza consiste in una cordicella di lino poco torto, e non vi si adopera setale.
Questa lenza serve principlmente a prendere le anguille. Si pongono per esca sull’amo o dei lombrici di terra, o gamberi, o ranuzze, pesciolini, pezzetti di agone ecc. Alla fine di settembre e in principio d’ottobre si carica con pezzetti di fico, ed allora si prendono facilmente grossi cavedani. La spaderna si sciorina sopra pezzi di canna, e se ne uniscono varie fra loro.
Si getta la sera nel lago a zig zag (met gio i spaderna – andare a schimbescio) a qualche distanza da riva, ed i pescatori usano caricarla d’esca mano mano la calano in acqua. Prima di gettarvela è bene inaffiare la cordicella, perché così affonda subito e meglio. I due estremi si pongono vicino alla riva, e vi si attacca un asasso che facilmente si possa ritrovare. Alla mattina susseguente od il giorno dopo si estrae dalle acque.
Si prendono principalmente anguille, e coi lombrici se ne prendono molte, ma piuttosto piccole. Si prendono pure bottatrici e cavedani. Ponendovi per esca gli animali detti molluschi acquatici dei generi Unio e Anadonia, nel mese di settembre si pescano le tinche.
- Questo brano è tratto dal volume dell’Ing. Giovanni Cetti, Il pescatore del Lario, descrizione delle reti e dei vari generi di pesca in uso sul lago di Como, pubblicato a Como nel 1862, dagli editori Carlo e Felice Ostinelli, pp. 62-73.