«The lovely lake Thrasymene». Da Perugia alla Polvese nel 1854

«The lovely lake Thrasymene». Da Perugia alla Polvese nel 1854

di Mrs. J. E. Westropp

Al nostro ritorno in albergo abbiamo preso contatto con un uomo che possiede delle carrozze, accordandoci con lui per farci portare al Lago Trasimeno l’indomani mattina.

Da quando son giunta a Perugia ho desiderato fare questa gita, ma il conte e la contessa mi dissero che avrebbero gradito molto venire anche loro, pregandomi di aspettarli. Ancora non si sono decisi e, non volendo aspettare oltre, ho detto loro che, non potendo accompagnarmi, avrei invitato qualcuno della famiglia P.

In serata è arrivato Don Porfidio, lo abbiamo pregato di venire con noi. Era troppo occupato e non poteva assentarsi da Perugia ma, molto gentilmente, ci ha fornito numerose informazioni e ci ha scritto una lettera di presentazione per un suo amico che ci avrebbe procurato il permesso per visitare una delle isole.

Sabato 26 è stata una bella giornata. Colazione con un po’ di caffè e uova. Alle sei e mezzo siamo partiti, lasciando la città da Porta di San Carlo. La vettura era molto bella, la strada pianeggiante si snodava attraverso le fertili pianure lungo la valle del Caina, uno stretto torrente, luminoso e chiaro. Qui la principale coltivazione è la vite.

Su di un alto colle, ben visibile già da lontano, una suggestiva torre medievale coperta d’edera. Si chiama La Magione, ed è a circa dieci miglia da Perugia. La collina è così ripida che abbiamo avuto bisogno dei buoi per farci tirare fin su.

Dopo essere entrati nel piccolo villaggio che ha lo stesso nome della torre, siamo scesi dalla carrozza, ma non vi era niente da vedere, la chiesa era misera, e alcune immagini che potevano ritenersi accettabili erano state rovinate dall’inserimento di piccole corone e orpelli sopra il capo della Vergine e del Bambino; una pratica molto diffusa in Italia.

A breve distanza dal villaggio ci siamo fermati di nuovo per visitare un interessante e pittoresco castello chiamato l’Abbazia di La Magione. Si tratta di un quadrato e massiccio edificio con quattro torri agli angoli, tutte diverse tra loro – una delle quali è rotonda. Nel centro vi è un campanile o torre campanaria. Una parte delle mura antiche ancora rimane e anche una vecchia porta da cui siamo entrati. L’interno ha un aspetto molto orientale, c’è un grande cortile intorno al quale corrono le gallerie ad archi che si sviluppano su tre livelli. Attualmente è occupato da un contadino e tutto sembra tristemente trascurato – botti, utensili agricoli, maiali, polli e cani sono ovunque. L’uomo che ci ha mostrato il castello era particolarmente intelligente e ci ha dato informazioni molto interessanti sui proprietari.

In passato è stato il possedimento più influente e più ricco dei Cavalieri di San Giovanni di Gerusalemme e ancora appartiene all’ordine. La gente di solito pensa che questo ordine non esista più, ma non è così. L’ultimo Gran Maestro è stato L’Ile d’Adam, quando l’ordine fu soppresso da Napoleone. Anche se morto già da un pezzo, non ha mai avuto un successore; lui era il capo militare, i giorni della cavalleria sono finiti, un nuovo non è indispensabile. Il Gran Priore, che anticamente era il secondo in comando, ora è il primo, deve essere un cardinale e principe romano. Il cardinale Lambruschini, che è morto due o tre mesi fa, ha ricoperto la carica per molti anni, il suo successore è il cardinale Treschi. Il capo vive in una casa appartenente all’ordine, in via dei Condotti, a Roma. Non ricordo il suo nome, non è molto amato e si dice che non abbia a cuore gli interessi dell’ordine. Ci sono un gran numero di cavalieri che indossano una divisa rossa con paramento nero, pantaloni bianchi, e la croce del loro ordine, eleggono il loro capo, fatta salva l’approvazione del Papa.

Gli introiti di questa tenuta di La Magione spettano alla società di Propaganda che a sua volta versa 4.000 corone l’anno (poco più di 800 sterline inglesi) per il Gran Priore, e la stessa somma per il sub-Priore, che vive sempre sull’Aventino, a Santa Maria del Priorato e si suppone segua tutti gli affari dell’ordine, avendo il cardinale capo altre occupazioni e altri luoghi di dimora. Anche il capo riceve 4.000 corone. Suppongo che Propaganda trattenga qualcosa per se stessa, oltre le 12.000 corone che versa, ma questo non posso asserirlo con certezza.

Ho tracciato un piccolo schizzo di questo interessante castello poi siamo risaliti in carrozza, abbiamo disceso una ripida collina e poco dopo siamo giunti a vedere il grazioso lago. Ha più di trenta miglia di circonferenza ed è di solo quattro miglia nella parte più larga. È davvero grazioso, circondato da montagne e lungo le sue sponde ha piccoli villaggi bianchi immersi tra gli alberi.

Abbiamo continuato per circa due miglia prima di fermarci al piccolo villaggio di San Feliciano, un miserabile piccolo posto così sporco, ma che locanda! C’era una grande cucina e due piccole camere da letto, una occupata dalla famiglia, dentro la quale il padrone di casa, che gemeva terribilmente, era a letto malato. Abbiamo ordinato un po’ di cibo e, mentre veniva preparato, siamo usciti fuori.

Il Conte F. ha portato la lettera di Don Porfidio al curato e al suo ritorno siamo andati a vedere una enorme regina di ventiquattro libbre. È un pesce ottimo, peculiare di questo lago, solitamente di circa quattro o cinque libbre di peso. Era esposto e i proprietari lo vendevano a peso.

Al nostro ritorno alla locanda abbiamo trovato la tavola imbandita in una delle camere da letto. Nel frattempo erano giunti il curato e il suo vicario, che si sono uniti al nostro banchetto, molto apprezzato da tutti. C’erano pesci alla griglia – regina e tinca – davvero eccellenti e cotti alla perfezione; uova; patate e mele. Il pane era pessimo. Del vino, mi è stato detto, che era davvero buono ma non l’ho assaggiato. Il curato era molto gentile e così il vicario: un giovane simpatico di ventidue anni che indossava un vestito di velluto, dall’aspetto non molto clericale.

Il vicario è poi uscito per approntare la grande barca di proprietà del titolare dell’isola. Il lago era mosso e c’era un bel po’ di vento. Una volta pronti, siamo usciti tutti.

Abbiamo trovato una imbarcazione a fondo piatto grande come una stanza, con quattro sedie predisponete per i forestieri e per sua eccellenza, un fascio di paglia per il vicario che aveva scelto un numeroso equipaggio per manovrare l’ingombrante imbarcazione.

Eravamo sulla rotta per Isola Polvese, a una distanza di due miglia. Il povero prete non trovava affatto piacevole essere in acqua: c’erano onde continue e il vento era così forte che la barca oscillava parecchio. Il sacerdote si faceva continuamente il segno della croce, invocando “Maria Santissima”, supplicando di non annegare. Nei pressi dell’isola il lago era più calmo e l’acqua di un delicato verde pallido.

Oltre alle bellezze naturali, i ricordi storici del Lago Trasimeno aggiungono molto al piacere dell’occhio. Queste montagne, queste isole e il lago sono rimasti come ai tempi di Annibale. Ho chiesto al vicario di mostrarmi la torre costruita sul luogo del campo di Annibale, il Monte Gualandro, che attraversò per entrare nella valle del lago e il Sanguineto, un piccolo fiume in cui scorreva il sangue dei romani. Ma questi luoghi si trovano distanti, dalla parte opposta del lago.

Dopo mezz’ora di traversata siamo giunti all’Isola Polvese. Il guardiano è venuto giù alla barca, don Gian Maria Seraphinis è sceso a parlargli. Dopo di che ci è stato dato il permesso di sbarcare.

Si tratta di una piccola isola molto bella, ha tre miglia di circonferenza. È molto fertile. Sul punto più alto vi sono i resti molto pittoreschi di un castello. Siamo entrati in un cortile circondato da alte mura e una torre: queste rovine sono del XV secolo. A poca distanza si trovano i resti di un convento dei monaci Olivetani. La chiesa deve essere stata grande e bella, ora è senza tetto, invasa da un tappeto erboso, la maggior parte degli archi che dividevano il centro dalle navate laterali sono crollati. I monaci scelgono sempre bei luoghi per i loro conventi. La vista sul lago da questo punto è molto bella, le montagne che lo circondano, le altre due isole più piccole, Maggiore e Minore, la prima abitata, il suo piccolo paese sormontato dalla chiesa che brillava alla luce del sole. I monaci Olivetani hanno posseduto l’Isola Polvese fino a circa 300 anni fa, quando l’hanno venduta. L’attuale proprietario è un conte romano che la usa principalmente come riserva di caccia. Di fatto è disabitata se si esclude la famiglia del guardiano.

Abbiamo attraversato l’isola in lungo e in largo. I nostri barcaioli hanno tagliato le canne che vi crescono rigogliose e battuto i cespugli per mostrarci i numerosi fagiani, lepri e conigli. Non ho mai visto così tanti fagiani tutti insieme.

Il tempo scorreva veloce, erano già le tre, occorreva far presto e risalire in barca. Il vento era sceso, il povero don Gian Maria non aveva più paura per la sua vita ma temeva di prendere freddo e influenza, per evitare malanni, quindi, tirò fuori un fazzoletto colorato annodandoselo sul capo, come una parrucca sotto il suo cappello da prete, con gran divertimento del vicario.

Il sacerdote deve venire in questa isola di tanto in tanto a dire messa per i guardiani ma, avendo paura dell’acqua, manda il vicario, che viene una volta al mese, quando il vento e le onde lo permettono, a dire messa in una piccola cappella.

Quando siamo arrivati sulla terra ferma, siamo andati a casa di don Gian Maria, dalla quale si gode di una splendida vista del lago. Sua sorella ci ha portato un po’di caffè, ci siamo fermati a chiacchierare mezz’ora con lei e con il nipote, un bambino di dieci anni. Alle pareti della stanza erano appese delle incisioni, il valido prete ci ha anche mostrato un curioso armadietto intarsiato con scomparti segreti, di cui è molto orgoglioso. In estate, questa deve essere una residenza molto piacevole ma in inverno è fredda ed esposta.

Siamo poi andati in chiesa, un luogo molto infelice. Il conte F. mi ha sussurrato di fare un complimento, perché don Gian Maria si aspettava che lodassi la sua chiesa, ma la realtà me lo ha vietato, non sono proprio riuscita a trovare qualcosa da lodare. Alla fine l’occhio mi è caduto su una serie di basse panche e ho detto che ero felice che avesse tanti bambini in chiesa. Questo commento ha fatto molto piacere al buon uomo che era molto affezionato ai bambini e per un po’ abbiamo parlato delle scuole. Ci ha anche mostrato una orribile testa di San Girolamo, più simile a un’insegna, e ci ha detto che il disegno è stato attribuito a Lo Spagno! I miei amici si sono complimentati con lui ma io davvero non ci sono riuscita.

Il vicario ha poi annunciato l’arrivo della nostra carrozza. Siamo tornati nella locanda, abbiamo pagato il conto, abbiamo stretto la mano a don Gian Maria e al vicario e siamo partiti con tutto il villaggio raccolto a salutare la nostra partenza; la visita dei forestieri è un grande evento per queste persone semplici.

Alle quattro e mezzo abbiamo lasciato San Feliciano.

  • Il resoconto è parte di una lettera scritta da Mrs. J. E. Westroop al fratello il 28 agosto 1854 e poi pubblicata nel volume Summer Experiences of Rome, Perugia, and Siena, in 1854: and Sketches of the Islands in the Bay of Naples. By Mrs. J. E. Westropp. Pubblicato da William Skeffington a Londra nel 1856. Qui pp. 194-201 la Letter XIV. – Abbey of La Magione – Isola Polvese – Lake Thrasymene.



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